TAPO DELLA TERRA

Racconto in concorso

TAPO DELLA TERRA

Di Francesco Tinelli

Con un balzo Tapo si buttò sul rettile paffuto che emise un sibilo contrariato.

«Visto?» Mostrò fiero il trofeo.

 Armie saltellò e batté le mani. «Possiamo tornare a casa ora? Fa freddo qui!»

Tapo conosceva il motivo di quel freddo, si erano spinti troppo lontano, verso la superficie. Suo padre non avrebbe dovuto saperlo!

«Va bene Armie, ma ricorda: non siamo mai stati qui. Abbiamo ritrovato Trella vicino alla Falda».

«Va beeene».

Tapo sventolò Trella davanti alla ragazzina: «Dove?»

«Uff, alla falda!» e subito scappò via, lasciandolo indietro.

Le strade brulicavano di gente, i loro corpi emanavano luci diverse a seconda di quanto erano indaffarati o andassero di fretta.

La luce fioca dei muschi, sul soffitto dell’enorme caverna, illuminò la scena. Tapo strinse forte gli occhi per sostituire la vista a infrarossi. Grazie ai muschi riuscì a muoversi tra la gente, senza dover utilizzarla.

Superarono le case squadrate, fatte di terra e pietre, fino ad arrivare alla sua. Suo padre era intento a scavare nell’orto.

«Papà, guarda!» Trella si dimenò nella rete e quasi sfuggì dalla presa delle sue unghione.

«Siete stati via parecchio, mi stavo preoccupando.» Suo padre si asciugò la fronte col braccio peloso e si avvicinò ad Armie. «Dovresti smetterla di trascinarti dietro questa ragazzina».

«Ha insistito lei per venire!» Tapo si diresse verso il recinto.

«Prendi delle uova e chiudi per bene il cancello, questa volta!» Gli gridò dietro il padre.

Tapo tornò indietro con una manciata di uova, «Non ce n’erano molte», disse mostrando il magro bottino.

«Certo, hai fatto scappare la nostra migliore ovaiola. A proposito, dov’era?»

«A-alla falda!» Gridò, con troppo entusiasmo Armie, e sottolineò la risposta con un sonoro starnuto, tale che vibrarono addirittura le pareti della caverna.

«Alla falda». Tapo provò a rimediare.

«Mmm. Dammi». Suo padre mise le uova in un panno e le diede ad Armie. «Dalle a tua madre, e non seguire più questo mascalzone».

Armie subito scappò via. «Ciao Tapo!»

Gudon appoggiò le mani ai fianchi. Le spesse unghie erano sporche di terra, sporgevano all’infuori. «Alla falda, eh? Non ci avevamo già guardato lì?»

Tapo pensò che fosse inutile mentire a suo padre, che annusava le bugie al buio. «Non ci siamo allontanati troppo e…»

«Tapo.» Gudon sospirò. «Eri piccolo quando è successo, ma devi fidarti delle mie parole. Quei tunnel sono troppo vicini alla superficie. E i crolli non sono l’unico pericolo.»

«Ma Trella…»

«Lascia stare la lucertola. Promettimi che non ci andrai più, né ci porterai Armie. Sua madre ha già perso tanto e…», Il suo viso si rabbuiò, «e basta. Vieni ad aiutarmi.»

I ricordi del Grande Terremoto distrassero suo padre dalla promessa. Tapo credette di essersela cavata, prima di passare il resto dell’intera giornata a lavoro nel campo.

Dopo cena, Tapo ripensò ai tunnel e all’aria fresca e dolce che si respirava lì. Comprendeva la paura del padre, ma aveva voglia di avventura e di scoprire i misteri della superficie.

Da quando la sua gente l’aveva abbandonata per sempre, erano rimasti solo i racconti e le leggende, ricche del fascino del mistero, ma lui voleva di più. Voleva vedere i loro lontani parenti. Gli uomini rimasti in superficie dopo l’attacco arrivato dai cieli.

Il cielo…Chissà quanto doveva essere bello. Si raccontava di una sfera infuocata in esso che si spegneva e si riaccendeva, scandendo il tempo. Un po’ come faceva il muschio per attirare le frotte d’insetti di cui si nutriva.

Alla fine, il sonno arrivò, con sogni di terre lontane e di alti uomini, dritti e senza pelliccia.

«Eccolo!» Armie indicò lontano e proseguì spedita.

«Aspettami!» Arrancò a fatica e scavalcò un cumulo di pietre franate dal soffitto. I terremoti erano deboli, ma sempre più frequenti.

La raggiunse e si ritrovò in una grotta piena di macerie.

«Si è infilato in quel buco. Aiutami!» Armie già scavava con decisione. Il suo sedere sporgeva all’insù. Era cresciuto un bel po’ negli ultimi anni… Tapo si affrettò ad aiutarla.

«Armie, ormai è perso, lascia stare.» Provò a farla desistere.

«Stavolta ci siamo, me lo sento». Da quando era anche lei nel corpo dei Cacciatori, era diventata ancora più testarda e sicura di sé.

Lui era il collega anziano, ma sembrava essere lei a dare ordini. Al villaggio sapevano quanto fossero affiatati, ma sospettava li avessero messi in coppia, poiché pochi riuscivano a tener testa al caratterino della giovane donna.

Tapo toccò qualcosa che risuonò in maniera strana. Tirò fuori un oggetto. «Armie, guarda qui». Mostrò nel palmo una pietra simile a un dente arrotondato.

«E quindi? Ci potrebbe essere una tana di topi glabri qui. Che m’interessa di una stupida pietra». Gli occhietti di Armie luccicarono nel buio.

«Toccala, senti!». Tapo non nascose l’emozione.

«Da’ qua». Armie lo annusò, poi sorpresa, lo strofinò sulle sensibili dita. «Cosa sono questi segni?»

«Sembra una forma di scrittura. Potrebbe venire dalla superficie» Tapo le rubò l’oggetto.

Il suo naso si mosse su e giù sulla pietra. «Argento».

Un rivolo d’aria fresca arrivò dal buco. Si guardarono in faccia stupiti e si fiondarono all’istante a guardare nell’apertura.

Una sonora testata rimbombò nello spazio alle loro spalle.

«Ahia, che testa dura!» Armie si sfregò la testa dolorante.

«Ah! Io?» Tapo aveva le lacrime agli occhi. «…Non ho mai annusato dell’aria così buona.»

«Pensi che?» Armie fremeva.

«Scaviamo.» Iniziò a scavare con foga.

Continuarono finché bastò a passare uno alla volta. Dopo aver litigato, su a chi toccasse entrare per primo, Tapo ebbe la meglio.

Strisciò nel tunnel per diversi metri, finché si apri un’altra grotta. Si spinse fuori. Questa volta era altissima e in cima, c’era del muschio.

«Cosa hai trovato? Cosa hai trovato?» Armie l’aveva raggiunto, «Oooh… un bel niente.»

I due cercarono altri oggetti, ma trovarono solo buchi. Gallerie dei topi glabri e nessuna traccia della loro tana. La carne scarseggiava e una tana avrebbe significato molto per la loro comunità. L’unica altra conosciuta veniva sfruttata al massimo e non si poteva rischiare oltre, per non perderla.

«Dovremmo andare, prima che mandino qualcuno a cercarci» Armie tirò piano Tapo, delusa quanto lui.

«Hai ragione, andiamo». Si girò un’ultima volta prima di rientrare nel tunnel, lei era già per metà dentro.

«Aspetta!» Tapo attese che Armie tornasse indietro, sembrava annoiata.

«Cosa c’è adesso?»

«Guarda, non ti sembra strano?» Tapo indicò la cima.

Anche Armie era una buona osservatrice. «In effetti quel muschio così piccolo, emette parecchia luce! Una nuova specie?»

«Guarda meglio, cambia vista.» disse Tapo eccitato.

«Calore? Il muschio non emette calore… aria calda, così in alto?»

«Quello non è muschio, Armie! È un’apertura!»

«Smettila, può essere un geyser o lava che scorre vicino.»

«Farebbe più caldo qui dentro, la luce poi, come te la spieghi?»

«Dobbiamo dirlo agli altri». Sussurrò Armie.

«Ma sei pazza? Così farebbero crollare tutto. Io voglio vedere.»

Sulla strada del ritorno studiarono un piano. Tornarono dagli altri sconfitti: niente grosse prede oggi, solo qualche verme albino.

Dopo essersi preparati, decisero di mettere in atto il piano. Erano quasi arrivati alla Grotta Luminosa.

«Basterà la corda?» Tapo ruppe il silenzio. Erano tesi, le sacche gonfie.

«Si-iii. Sono giorni che lego alghe. Per poco mia madre non mi scopriva».

«Scusa, sono nervoso. È il sogno della mia vita…»

«Non era entrare nei Cacciatori con me, il tuo sogno?» Armie sembrò sorpresa.

«Mmm, più un obiettivo. Questo è un sogno che si avvera». Una pietra colpì Tapo dietro la testa.

«Ahia! Che fai?»

«Niente. Sono nervosa anche io.»

Arrivati nella grotta, tirarono fuori la spessa corda di alga delle falde e diversi cunei di metallo, creati nella forgia lavica. Erano costati parecchio, aveva dovuto scambiare uova e anche della carne secca.

Iniziarono la scalata. A diversi metri da terra iniziò a infilare il primo cuneo. Il martello echeggiò rumoroso. Legò il primo capo della corda lasciandone penzolare un po’ verso il fondo e continuarono la salita. Le forti braccia, abituate a scavare e le unghie forti, fecero la maggior parte del lavoro.

«Quanto manca?»

Tapo sobbalzò, concentrato nella scalata. «Altri tre metri, credo».

«Non possiamo andare più veloci?» Armie era una brava arrampicatrice, ma era la prima volta che saliva così in alto. Non era a suo agio.

«Ci vuole un po’ per mettere questi, sai? Devono tenerci!»

Armie scocciata, guardò in basso. «Brrr, se vuoi un consiglio non guardare giù».

Tapo, sentito il suggerimento, fece proprio il contrario. Guardo giù e si sentì mancare. La testa gli girò e perse la presa sul martello che cadde sfiorando Armie.

«Ma sei pazzo?!»

«È colpa tua. E adesso?»

«Sali e basta! Cos’hai al posto delle mani, bulatina?»

Tapo la ignorò, in ultimo sforzo salì fino in cima e vide l’apertura. La luce era fortissima, faceva fatica a proseguire. Si issò sul bordo alla cieca, poi aiutò Armie a salire.

«Wow!»

Davanti a loro si apriva una finestrella nella roccia. Gli occhi iniziarono ad abituarsi alla luce che rimaneva però troppo forte per i loro occhi, che schermarono con le mani.

«Guarda…»

Ancora più in alto migliaia di puntini e un grosso cerchio luminoso.

«Que-quella è la sfera di fuoco» balbettò Tapo.

«Dov’è il fuoco?»

«Deve essere spento, le manca un pezzo! Forse si è rotta.»

«Lì! Cosa sono?» Armie indicò un punto lontano.

Una distesa di sabbia si allungava a vista d’occhio e, quasi sull’orizzonte, si stagliavano delle imponenti strutture triangolari. Una finiva con una punta che rifletteva la luce della sfera.

«No-non… È bellissimo». Tapo noto che Armie gli stava stringendo la mano, o forse era lui ad averla presa. Nello stesso istante, lei si girò a guardarlo, stava per dire qualcosa quando un ronzio la fermò.

Un oggetto luminoso e velocissimo roteò nell’aria. Luci colorate bruciarono gli occhi.

«A terra!» Tapo urlò, tirandosi dietro Armie.

Veloce come era arrivato, il disco sparì alla vista andando verso i triangoli.

«Era un animale?» Armie tremava sotto le sue braccia.

«Non lo so…ma ci servirà una corda più lunga per scendere dall’altro lato».

31 risposte

  1. Giuseppe ha detto:

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  2. Roberto Venezia ha detto:

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  3. Francesca ha detto:

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  4. Francesco ha detto:

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  8. Alessandro Ettorre ha detto:

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  13. Gianluca Stella ha detto:

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  15. Angela ha detto:

    Incantevole e avvincente

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  18. Adriana ha detto:

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  20. Gabriella ha detto:

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  22. Eva ha detto:

    voto questo racconto. 😉

  23. Francesca ha detto:

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  24. Davide ha detto:

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  25. Matteo ha detto:

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  26. Giusy Impellizzieri ha detto:

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  27. Giusy ha detto:

    Una bella storia di amicizia e affetti familiari.
    Bravo l’autore

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