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Racconto in concorso

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Di Arturo Caissut

Dov’ero quand’è successo? No, non mi dispiace parlarne, figurati. In qualche modo dovremo pur ingannare il tempo, giusto? Già. A proposito: quanto ne sarà passato? Ormai io ho perso il conto. Dici? Secondo me di più. Beh, non importa. Da dove posso cominciare? Vediamo… Ah, ecco: tu prima avevi una famiglia? Ah! Oh. Beh, mi dispiace. Mi dispiace davvero. No, io no. Io ero solo: scapolo e felice. Avevo la mia routine: sveglia, colazione, otto ore di smart working – smart working, ricordi? Ce la siamo proprio cercata – insomma, otto ore di smart working intervallate da un paio di tazze di caffè, e in mezzo una pausa pranzo, che spesso passavo a guardare qualche serie sullo stesso portatile che usavo per lavorare. Pensaci: in pratica nove ore consecutive davanti a un computer. Avessi previsto cosa sarebbe successo magari… Ma no: come avrei potuto? Qualcuno ne parlava, vero? Però sembravano tutte cazzate. Come si chiamava? Mark? Must? Non importa, le sue mi sembravano comunque cazzate. Anche se a ripensarci ora era da tempo che continuavano ad apparirmi sui social pubblicità di proteine, personal trainer, diete… Tutta roba assolutamente lontana dai miei interessi. I social: che razza di perdita di tempo! Certo, è facile parlare col senno di poi: ai vecchi tempi ci passavamo le ore. Che c’è, hai un crampo? Aspetta, prova a cambiare posizione sul sellino. Dai, resisti: il turno finisce tra poco. Dicevo, vivevo da solo e avevo la mia routine, il mio appartamento, la mia vita. Accadde un venerdì sera, ricordi? O almeno, dalle nostre parti era venerdì sera, e il venerdì per me era la serata della pizza settimanale. Dio, quanto vorrei una pizza adesso! Beh, era la serata della pizza: «Alexa, chiama la pizzeria Arcobaleno». E lì si verificò una cosa insolita: Alexa mi rispose proponendomi di andare piuttosto a fare due passi. Figuriamoci! Di solito il venerdì la pizza me la facevo portare direttamente a casa, altro che passeggiate: dopo una settimana di lavoro non avevo nessuna voglia di uscire, neanche per andare a prendere una quattro stagioni. No, vabbè, chiaro che ogni tanto uscivo. Se potessi tornare indietro uscirei ogni sera, e sicuramente non su una merdosa bicicletta. A volte uscivo e al ritorno portavo con me qualche amica, ma poi tornavano sempre a casa loro e io dormivo come un sasso per otto, dieci ore filate. Bei tempi. Ti fa ancora male la gamba? Ok. Dai, che dovrebbe mancare poco. Insomma, quel venerdì me ne stavo sul divano con la mia pizza, guardavo la televisione, e poi avevo una birra. Te la ricordi quella? Mamma mia… A un certo punto partì un’edizione straordinaria del telegiornale, e io feci quello che immagino fecero un po’ tutti quanti: «Alexa, riproduci qualcosa su Netflix». In fondo chi lo guardava più, il telegiornale? Eh, appunto. Credo che fuori piovesse. Poi di colpo Netflix smise di funzionare: sullo schermo spuntò un errore di connessione, e tanti saluti. Eh, chiaro, ma mica potevo saperlo. Io a quel punto avevo finito la pizza e la pazienza: decisi che non era serata per la televisione, quindi buttai giù l’ultimo sorso di birra, lasciai tutto quanto sul tavolino, e mi apprestai a fare un’altra cosa che ai tempi mi piaceva da matti: pigiama, letto, libro. Ora che ci penso quel cartone della pizza dev’essere ancora là, accanto alla bottiglia vuota. Che idea strana. Anche se magari i topi… Vabbè, comunque mi lavai i denti, andai in camera da letto e presi un libro dal comodino: me lo ricordo ancora, era “Ritorno dall’universo” di Stanisław Lem. Mai saputo come andasse a finire. Non è che per caso tu…? Eh, immaginavo. Pazienza. Insomma, iniziai a leggere con la testa posata sul cuscino, ma naturalmente in strada cominciava a esserci confusione: auto che andavano e venivano, clacson, schiamazzi. Ah, davvero? No, io non avevo ancora capito niente. Sul serio, pensavo fosse normale: magari una manifestazione o tifosi di qualche squadra, roba del genere. Che ne potevo sapere? Dopotutto era venerdì sera ed era ancora abbastanza presto, mica erano tutti eremiti come me. Però sì, facevano un gran casino e io a quel punto rinunciai anche a leggere: non era la serata giusta per l’intrattenimento. Mi alzai e andai in cucina a prendere un bicchiere d’acqua: ricordo che pensai a un guasto dell’acquedotto, perché dal rubinetto non usciva niente. Mi sembrò strano, perché poco prima in bagno aveva funzionato. Valutai di stappare un’altra birra, già che ero in cucina, ma purtroppo decisi di lasciarla nel frigo: a ripensarci adesso mi mangio le mani. Tornai a letto, assetato e infastidito: «Alexa, spegni la luce», ordinai tirandomi la coperta sul mento e pregustando per l’ultima volta una buona notte di sonno nel mio comodo, bellissimo letto IKEA a due piazze. E allora sentii per la prima volta quella voce: Alexa rispose «NO».

17 risposte

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  2. davide ha detto:

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