LA PRINCIPESSA DORATA

Racconto in concorso

LA PRINCIPESSA DORATA

Di Giulia Licciardello

Thorns Bay ci sovrastava con la sua bellezza. I fitti alberi si stagliavano nel cielo plumbeo della costa, dicevano c’è vita anche qui.

Preparammo le scialuppe, le provviste, e scendemmo a terra. O’Neil, Thompson, Connolly e io, insieme alla grande vasca in vetro.

«È stata avvistata due giorni fa nella radura. Potrebbe anche essersi allontanata» disse scettico Thompson.

«Lo scopriremo presto» risposi.

Ci incamminammo sulla spiaggia, poi ci addentrammo nella foresta. Guidai il gruppo creando un percorso a suon di fendenti, Thompson e Connolly reggevano la vasca, O’Neil chiudeva la fila, la pistola pronta a sparare in caso di pericolo.

La radura si trovava ai piedi del promontorio dell’isola. Quando vi arrivammo, non potevo credere di essere ancora in Irlanda. Gli alberi facevano da cornice a una pozza d’acqua cristallina, collegata al mare da un canale, un muro di roccia e muschio proteggeva quel luogo incantato. Mi sarei aspettata di vedere il piccolo popolo, lì in mezzo.

«Accampiamoci» dissi. «Si sta facendo buio. Facciamo silenzio e forse riusciremo a tenderle un’imboscata.»

«Da quando sei tu a dare gli ordini?»

La stazza di O’Neil mi sovrastava, ma non mi lasciai intimorire.

«Questa è la mia spedizione, quindi do io gli ordini.»

O’Neil sollevò il labbro in una smorfia, la mano stretta sull’impugnatura della pistola.

«Allora, visto che è la tua spedizione, non ti aiuterò per catturare quella cosa» sogghignò.

Ricambiai. «Non ne ho bisogno.»

Thompson e Connolly interruppero il nostro battibecco per piantare le tende. Ci accampammo a qualche metro di distanza dalla radura, così da lasciare che la foresta ci nascondesse.

Nel buio della notte, mi svegliai per un leggero bagliore, come quello di una lucciola. Mi feci strada verso la radura, da cui proveniva la luce. Nel silenzio, la nostra preda si era avvicinata alla riva.

Restai incantata dalla sirena. I suoi capelli erano lunghi e dorati, la pelle splendeva nel suo candore lunare, e la coda, per metà immersa in acqua, brillava di un blu intenso. Era lei la fonte di quel bagliore, e più mi avvicinavo, più emanava luce.

Non sarei riuscita a svegliare gli altri senza fare rumore, così decisi di attaccare da sola. Puntai la pistola verso la coda della creatura e…

Pam! Il colpo rimbombò attorno a noi.

La sirena, in preda al dolore, si voltò di scatto verso di me. I suoi occhi mi folgorarono. Si gettò in acqua, ma la ferita le impediva di nuotare agilmente. Prima che potesse scappare, le lanciai addosso la rete che avevamo preparato. I pesetti in piombo si avvolsero in una morsa da cui era impossibile liberarsi.

La sirena era nostra.

Mentre i canti di pirati ubriachi si diffondevano sul ponte, scesi sottocoperta per controllare la creatura. Era chiusa nella vasca trasparente, la testa fuori usciva dal pelo dell’acqua. La coda ripiegata di lato per via delle dimensioni strette del contenitore.

«Hssss!» mi sibilò contro.

Di nuovo i suoi occhi mi scrutarono.

«Volevo sapere se hai fame» mi difesi. «In realtà non so se puoi mangiare il nostro cibo.»

«Non sai nulla sul nostro conto» disse, tagliente.

«Ah, allora non ringhi solo» ridacchiai. Il suo sguardo furioso, però, non si placò.

Mi avvicinai alla vasca mantenendo una distanza di sicurezza. Notai che la ferita che le avevo procurato sulla coda era ancora aperta, aveva perso delle scaglie che galleggiavano nell’acqua colorata di rosso.

«Vado a chiamare il medico di bordo.»

«Non è necessario» sentenziò. «Sei stata tu a farlo e ora ti impietosisci per me?»

Presi un lungo respiro, infastidita.

«La colpa è in primo luogo tua per aver infestato le acque di Thorns Bay. Sulla tua razza c’è una taglia così grossa che potrei comprarmi una nave tutta mia.»

«Non ho infestato niente!» urlò. «Siete stati voi a decidere che questa è la vostra terra e che noi siamo intrusi. Ma chi vi ha dato il diritto di decidere per tutte le creature?»

Indietreggiai, stringendo i denti. Ma non seppi rispondere.

«Quanta arroganza, quanta ipocrisia» continuò. «E voi pirati siete i più ipocriti di tutti. Credete di possedere il mare, ma poi vi piegate alle autorità per soldi.»

Si accasciò sott’acqua e chiuse gli occhi. I capelli biondi fluttuavano nella vasca, privi di gravità.

«La terra è nostra» risposi. «E anche il mare.»

Non mi degnò di uno sguardo. Il movimento delle branchie sul collo mi rassicurò che stesse respirando, ma capii che era il momento di tornare sul ponte.

Eppure, nonostante la baldoria della ciurma e il rum, le parole della sirena mi affliggevano.

Il giorno dopo tornai nella stiva per controllare le condizioni della sirena, ma davanti a me trovai una scena raccapricciante. La vasca era stata rovesciata e la sirena stava accasciata per terra, sulla poca acqua rimasta. O’Neil accanto a lei la scherniva.

«Ma che fai?» urlai, spintonandolo. Misi da parte l’unguento datomi dal medico e sollevai la vasca, ma conteneva ormai solo pochi centimetri di acqua.

«Vai a raccogliere dell’acqua, forza!» gli urlai ancora.

«Ma chi ti credi di essere per darmi ordini?» O’Neil mi guardò ridendo. «Che te ne frega di questo mostro?»

«Mi frega che dobbiamo consegnarla viva.» Mi accovacciai davanti la sirena, che ormai boccheggiava. «E poi non hai il diritto di trattarla così.»

«Sei ridicola» la risata di O’Neil mi gracchiava nelle orecchie. «Maledetto il giorno in cui Murray ti ha fatta salire a bordo.»

Mi alzai di scatto. In statura non potevo affrontarlo, ma in ferocia sì.

«Vuoi che ti faccia cadere un altro dito? Lo farò, se necessario» grugnii. «Non mi interessa che non ti piaccio, ma il capitano ha scelto me come sottufficiale, per cui seguirai i miei ordini.» Mi avvicinai fino a pestargli il piede destro. O’Neil strinse le labbra per nascondere il dolore, i nostri visi si scontrarono. «Porta l’acqua e non dare mai più disturbo alla prigioniera.»

Lui ringhiò e senza dire nulla si allontanò.

Quando restammo sole liberai le braccia della sirena e ne approfittai per mettere l’unguento sulla ferita.

«Grazie» sussurrò.

Sbatteva le pinne sul pavimento con poca forza, gli occhi stavano spegnendosi.

«Resta sveglia, tieni duro. Tra poco starai bene» biascicai. La strinsi tra le braccia e scostai i capelli dal viso. Da sola non sarei riuscita a sollevarla.

«Hai un nome?» le chiesi. Dovevo tenerla sveglia.

«Orlaith» sussurrò.

Sorrisi, mentre le accarezzavo la fronte. «Io sono Grace.»

Ancora niente passi giù per le scale.

«Com’è casa tua?»

Orlaith sospirò. «Il nostro palazzo è molto lontano dalla radura dove mi hai trovata. In fondo agli abissi, dove gli umani non possono arrivare. A eccezione dei naufraghi.»

«Cioè?» mi incuriosii.

«Salviamo le creature cadute in mare. Le portiamo con noi, diamo loro la pace. E se la loro anima lo desidera, rinasceranno negli abissi.»

«Oh» riuscii a dire. «Quindi li salvate da un oscuro destino.»

«Ti stupisce che non siamo malvagi come ci descrivete?» mi zittì.

Il silenzio venne interrotto dall’arrivo della ciurma che mi aiutò a rimettere Orlaith nella vasca e a riempirla. Già al contatto con l’acqua la sirena sembrava essersi ripresa, ma le serviva del tempo per riposare. Feci per andarmene insieme agli altri, ma la sua mano sul vetro mi fermò.

«Mi faresti compagnia?» mi domandò.

Arrossii e accettai. Mi accasciai su una serie di casse di legno alle spalle della vasca, così da osservarla dall’alto e tenere d’occhio le scale. Orlaith allungò un braccio fuori dall’acqua, accarezzandomi il volto. La sua pelle era morbida, il tocco delicato, i capelli ora risplendevano.

«Grazie» mi sussurrò, di nuovo.

Restai a sorvegliare il suo sonno.

«Sottufficiale Murphy, siamo in arrivo a Galway.»

L’annuncio di Thompson mi svegliò prima del previsto. Cercai lo sguardo di Orlaith, ma la vasca era già stata portata via.

Salii in fretta sul ponte. La ciurma era in preda all’eccitazione e alle manovre di discesa, il capitano Murray guardava tutto dal timone e O’Neil guidava la scialuppa su cui era stata caricata la vasca.

«Fermi!» urlai, ma nessuno mi prestò attenzione. Raggiunsi il Capitano, decisa a provare il tutto per tutto con lui.

«Capitano Murray!» lo richiamai. «Non possiamo consegnare la sirena alle autorità.»

«Come sarebbe a dire? È la tua missione…»

«Signore, in questi giorni con Orlaith ho capito che ci siamo sbagliati sul suo popolo, e non è giusto arricchirsi con il dolore di un’altra vita.»

«Noi siamo pirati, Grace» disse. «Dovresti sapere che non ci interessa cosa sia giusto e cosa no?»

Deglutii. Le parole che avevo solo pensato risalirono per la gola. «Allora forse non voglio più essere un pirata.»

Il Capitano abbassò lo sguardo. «Ti vorrei a bordo, ma se è questo che vuoi, non ti tratterrò.»

Salutai l’uomo che mi aveva fatto da padre e corsi verso la scialuppa, ormai pronta a salpare.

«O’Neil, lasciala» intimai al pirata.

«Oppure cosa?» ringhiò.

Sfoderai la spada e prima che potesse contrattaccare gli tagliai un dito. «Te l’avevo detto che l’avrei rifatto» sogghignai.

L’uomo urlò per il dolore e nell’impeto il suo peso fece sbilanciare la scialuppa. Finimmo in mare, e insieme a noi la vasca che conteneva Orlaith.

O’Neil mi afferrò le gambe e mi trascinò sott’acqua. Scendemmo per qualche metro prima che riuscissi a scalciarlo via. Cercai di risalire, ma la forza mi stava abbandonando. Chiusi gli occhi accettando quel destino, ma qualcos’altro mi afferrò. Era Orlaith a stringermi, e mi portò a galla.

«Che ci fai ancora qui? Scappa!» urlai a Orlaith quando affiorammo, dopo diversi colpi di tosse.

«Vieni con me!» disse. «Andrà tutto bene.»

Il luccichio dei suoi occhi mi rassicurò. Strinsi la sua mano e accettai quella via.

Ci allontanammo a nuoto verso il mare aperto, in pochi minuti eravamo ben lontani dalla nave e della costa irlandese, che sembrava solo un punto verde all’orizzonte. Ora ero una naufraga.

Orlaith mi guardò con i suoi occhi azzurri, con un cenno le diedi muta conferma della mia decisione.

La sirena mi strinse e discese negli abissi, portandomi con sé nel suo regno.

22 risposte

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    Pirati e sirene… Adoro!

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