L’ALLIEVO DI ELUANN

Racconto in concorso

L’ALLIEVO DI ELUANN

Di Sara Earine

Alasdaír poggiò il suo piede sul ponte, composto da piccoli tronchi che fuoriuscivano dalle acque. L’alta marea li stava quasi sommergendo. “Venite a prendermi!”, sfidò i soldati, sventolando il cestino, ma il pane rubato l’aveva già distribuito sotto i loro occhi senza che nemmeno se ne accorgessero. I soldati parvero arrestare la corsa, il bambino udì le armature cozzare. Probabilmente temevano la traversata; alcuni soldati urlarono e inveirono. Alasdaír scivolò, cadde in acqua e perse il cestino. L’acqua salata gli pizzicava gli occhi, ma sapeva nuotare. Prese fiato e nuotando veloce si nascose sotto il manto delle onde.

Giunse alla riva più vicina e prima di uscire e riprendere fiato pregò che tra i soldati non fossero arceri. Avrebbe dovuto pensarci prima di sfidarli così apertamente. Ma non potevo nemmeno permettere che catturassero Aylana. È sola al mondo e ha fame, rammentò a sé stesso perché aveva rubato quel cestino ed era sfrecciato in mezzo ai soldati. Il bambino piantò i piedi tra i sassi, pronto a correre. Poi però si accorse che alle sue spalle c’era silenzio. I soldati non si sentivano più. Cautamente, Alasdaír si voltò per vedere.

C’era un uomo che gli sorrideva, seduto sopra tutti e tre i soldati, svenuti. I capelli dell’uomo erano biondi, fatta eccezione per la frangia, tutta blu. Stava sventolando una mano. Era un gesto di saluto tipico dei pirati. Forse ha visto che l’ho fatto per Aylana, pensò Alasdaír cercando di spiegarsi perché un pirata lo avesse aiutato. Poi però il sorriso di quel pirata era contagioso. Alasdaír si ritrovò a imitare lo stesso gesto di saluto, gridò il suo grazie da un’isola all’altra e guardò dov’era arrivato. “Accidenti, sono sull’isola sbagliata. Per di più con l’alta marea”, si lamentò, ma aveva da rimproverare solo sé stesso.

Casa sua non era su Glìnis, tuttavia a trovarsi su quell’isola c’era il vantaggio che c’era una città e un grande porto. Era più facile trovare un traghetto fino ad Atalantis o Tamti. Da Tamti poteva fare un tratto a nuoto e raggiungere casa ad Atalantis. Se solo avessi guardato dove andavo e che era già l’ora dell’alta marea, si riprese silenziosamente mentre camminava per le vie della città di mare per raggiungere il porto.

Nonostante le buone intenzioni, si distrasse e si mise a giocare con dei bambini sulla spiaggia, alcuni di loro venivano spesso a casa sua, che era la locanda Il Rifugio. Lì c’era sempre un piatto caldo e un tetto sopra la testa per tutti gli orfani. Alasdaír pensava di essere fortunato ad abitare in un regno dove non esistevano orfanotrofi, anche se essere orfani non era facile. Ma soprattutto era fortunato ad essere nato letteralmente nella locanda Il Rifugio. Sua madre, una nobile, era morta dando alla luce lui e il suo gemello Aeron; il padre non si sapeva chi fosse. E così il proprietario di Il Rifugio era diventato il loro nonno adottivo e la sua scorbutica nipote, Aili detta mamìa, si prendeva cura di loro.

Scoprendo che Alasdaír voleva tornare ad Atalantis il prima possibile, uno dei bambini con i quali si era messo a giocare gli disse che c’era una nave pirata in partenza, forse gli davano un passaggio. Alasdaír non se lo fece ripetere e si precipitò al molo, era ormai tardo pomeriggio. Si aspettava di dover supplicare per il passaggio, ma la capitanessa della nave gli indicò subito la cucina: “Sbucci patate finché non ci avviciniamo alla tua isola. Non facciamo tappa, ti tuffi e vai a nuoto. Tutto chiaro?”, la donna non volle nemmeno sentire per quale motivo Alasdaír si trovasse a chiedere un passaggio, aveva fretta.

Alasdaír ringraziò, sapeva che i pirati in generale non prendevano a bordo bambini, era una loro regola. Comunque avevano anche una regola dove ai bambini non si doveva fare del male, quindi era un passaggio più che sicuro. E soprattutto, era pressappoco gratuito.

Quindi la nave salpò e il cuoco di bordo lo mise all’opera. Ogni tanto, curioso, Alasdaír guardava fuori dall’oblò. Ad un certo punto riconobbe il paesaggio e rimase sia confuso che ammirato: “Che coraggio. Questo non è lo stretto fra Erlan e Glìnis?”, domandò al cuoco.

“Certo che lo è, è la strada più corta per scaricarti ad Atalantis”, sbuffò lui, burbero, incalzandolo a lavorare nonostante la nave ondeggiasse sempre più violentemente. Alasdaír udì dei fortissimi tuffi, erano pietre lanciate in mare contro la nave dalle torri di guardia di Glìnis. “Non ti preoccupare, saremo fuori tiro in un battibaleno”, gli disse il cuoco; “Sei sulla Rosalba e abbiamo una Signora dei Mari per capitano.”

Alasdaír sgranò gli occhi. Si precipitò sul ponte della nave e vide la capitanessa che stava alzando le mani e assieme alle sue mani ingrossavano le onde e spingevano la nave. Il vento obbediva ai suoi arcani comandi, sussurri che uscivano dalle sue labbra e si perdevano nel fragore delle onde. La nave fu fuori tiro in un attimo.

La capitanessa lo scrutò divertita: “Non hai da fare, bimbo?”

Alasdaír però rimase lì, la meraviglia lo aveva caricato di entusiasmo: “Siete davvero l’ultima Signora dei Mari, il capitano Darzel Battleheart? Non avevo capito!” Gli raccontavano le avventure di quella nave e dei misteriosi poteri di Darzel Battleheart, sopravvissuta alle guerre di conquista di re Anoush una generazione addietro.

“Non sono l’ultima, c’è ancora mia sorella Hazel, sulla Ventoruggente”, sostenne Darzel; “E ci sono altre tre Signore dei Mari, due di loro stanno cavalcando onde lontane”, spiegò.

“Così tante?”, esclamò Alasdaír; “È incredibile! Siete forti come il dio del mare e la dea del vento messi assieme!”

“Magari!”, rise il capitano e lo guardò negli occhi, ma solo per un momento. Lanciò un’occhiata verso la cabina del capitano, poi di nuovo verso l’orizzonte e indicò l’isola di Atalantis, la spiaggia e il villaggio erano due sagome già distinguibili. “Siamo quasi arrivati.”

Alasdaír salì sulle griselle, non voleva tuffarsi subito e andare via: “Aeron e gli altri moriranno d’invidia quando gli dico che vi ho vista in carne ed ossa!”

“Non raccontare nulla e avrò meno navi reali alle calcagna”, replicò lei, sbuffò e incrociò le braccia ridendo. “Ora smamma.”

“Solo una cosa… se ci sono così tante Signore dei Mari, esistono ancora gli hays?”, domandò Alasdaír, curioso. Anche di quegli enormi serpenti marini si udivano storie e che i pirati sapessero addomesticarli. Ma si erano estinti anche loro da poco prima che Alasdaír nascesse.

“Cosa devono udire le mie orecchie!? Certo che sì!”, esclamò Darzel. “Anche se purtroppo ce ne sono pochi. Il capitano Leegan Blankstone si è allontanato da questi mari, cerca un posto dove il branco possa vivere più serenamente”, spiegò velocemente Darzel, salì anche lei sulle griselle e si sedette accanto a lui. “Senti, siamo solo fuori tiro, tra poco avranno allertato le navi per darci la caccia. Non ti voglio a bordo quando succederà”, con un cenno del capo gli indicò l’isola all’orizzonte, “Ora vai.”

“Grazie di tutto”, disse Alasdaír e poi si tuffò in acqua sotto lo sguardo di Darzel Battleheart.

Ella lo guardò fare le prime bracciate. La ciurma aveva continuato a fare quel che doveva, ognuno fedele al suo dovere, senza far caso alla loro capitanessa che ora rivolgeva la sua attenzione a un altro ospite che avevano a bordo. Era di origine pirata anche lui, la ciocca blu nel suo caso corrispondeva a tutta la frangia. Assai vistoso, come marchio pirata, eppure aveva scelto da lunghi anni di vivere sulla terraferma. Stava giusto arrivando sul ponte, uscendo dalla cabina del capitano.

Il canto dei gabbiani si unì a quello delle onde mentre l’uomo avanzava verso di lei con passo fermo e deciso. “Nemmeno te voglio a bordo quando combatteremo i soldati di re Ulian”, esordì la donna.

Se riusciranno a raggiungerti”, la sua era un’osservazione giustificata. “Grazie per il passaggio ad Alasdaír.” Lei roteò con gli occhi e gli ricordò che gli doveva un favore. Lui rise: “Te l’ho lasciato in cabina. Se non basta, avrò la scusa per venire a cercarti.”

“Hai visto quello che ti serviva?”, si informò la capitanessa. Lo vide annuire e calò il silenzio. “Eluann… perché tante attenzioni a questo bambino?”, Darzel disse qualcosa piuttosto che sopportare il silenzio, “non ho capito perché non sei venuto a parlargli.”

“Ho tutto il tempo”, l’uomo si poggiò sul parapetto, poi lasciò scivolare le gambe e rimase seduto sul ponte, con i piedi a penzoloni: “Sarà il mio allievo molto presto.”

Darzel scese dalle griselle, posò le mani sul parapetto. Poi poggiò il suo peso sui talloni, tutto il corpo inclinato all’indietro, tenendosi bene al corrimano. “Insegnargli a rubare e camuffarsi sì, ma la legge del mare e le nostre tradizioni no?”, Darzel glielo chiese pur conoscendo la risposta. “Eluann, non ci pensi mai a far di nuovo parte di una ciurma?”

Lui sospirò: “Nel nostro sangue scorre il mare, ma il mio cuore è roccia”, disse con fermezza e al contempo con orgoglio; “Quello che posso fare sulla terraferma è molto più di quello che farò mai per te o per il mare.”

Lei guardò di nuovo l’orizzonte. Fu come lasciar vibrare le ultime note su una cetra, spegnere lentamente un canto, una danza, e conservarne il ricordo. Può bastarmi, si rese conto, e fu già più felice di quanto non lo fosse stata da tempo.

Sentì il profumo del mare salirle alle narici e sorrise. Era esso a sussurrare nella sua mente, con la dolcezza di un soffio, scherzoso. Fai pure, sostenne, divertita e mosse le dita, tirandosi di nuovo in una posizione più stabile. L’acqua si sollevò come risucchiata da una forza invisibile per rovesciarsi sul ladro più rinomato dei Dodici Regni.

“L’hai fatto apposta!”, esclamò Eluann, le braccia spalancate, fissandosi gli abiti sgocciolanti.

L’istante dopo stavano ridendo entrambi della grossa. Come ai vecchi tempi.

12 risposte

  1. Federica ha detto:

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  2. Lucrezia ha detto:

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  3. Raffaele ha detto:

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  4. Alessandra ha detto:

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  5. Chantal ha detto:

    Intrigante! Voglio assolutamente leggere il seguito!!!
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  6. Sonia ha detto:

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  7. Maggie ha detto:

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  8. Laira Fambono ha detto:

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  9. Leonardo ha detto:

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  10. Stefano ha detto:

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