UN INCONTRO INASPETTATO

Racconto in concorso

UN INCONTRO INASPETTATO

Di Giada Venturino

La luna si stagliò fredda e imponente nella notte. Bánaí, un Drago Celeste, si decise finalmente a sgattaiolare fuori dalla propria dimora, le Grotte Tonanti, per tentare un volo notturno tra le fitte fronde del Bosco Ombroso di Lorthor, l’antico regno degli Elfi Silvani. La madre lo aveva spesso messo in guardia sui pericoli dell’avventurarsi oltre i confini delle Grotte, in particolare per lui, il primo drago albino nato in più di mille anni. Bánaí era però giovane, intraprendente, a volte avventato e desiderava ardentemente partecipare ai Grandi Giochi Celesti: una competizione per scoprire nuovi talenti per l’Accademia, la scuola che allenava e formava i futuri Cavalieri dell’Armata Astrale. I due fratelli Rere e Zerda si erano allenati per quasi un decennio per accedere all’Accademia, mentre lui era ancora troppo giovane e inesperto. Ecco perché spesso si addestrava di nascosto dalla propria famiglia.

La luna era molto grande quella sera e i suoi teneri raggi si infrangevano sulle scaglie opaline delle sue ali, creando una scia argentata. Intravide il limitare del bosco; con un possente colpo d’ali accelerò per portarsi all’altezza delle fronde: sapersi destreggiare tra i tronchi e i rami era una delle abilità fondamentali dei Cavalieri. La selva si aprì con qualche giovane arbusto, per poi infittirsi con un intrico di ippocastani, pioppi e castagni. Le ali del drago si adattarono bene allo spazio ristretto e poche semplici virate gli permisero di addentrarsi nel folto della selva: le chiome però si fecero sempre più fitte, fino a formare dei muri densi e difficili da penetrare. Evitarli divenne un’impresa quasi impossibile. La luce della luna si affievolì, fino a svanire inghiottita dal fogliame. Bánaí si ritrovò completamente avvolto dall’oscurità e non si accorse di un albero di robinia che gli si parò davanti. Tentò una virata, piegando l’ala destra dietro la schiena per assottigliare l’aria, ma l’impatto fu inevitabile. Il giovane drago colpì il tronco quel tanto che bastò a sbilanciarlo, facendogli perdere il controllo. Le ali sbatterono a vuoto nel vano tentativo di riprendere quota, ma ormai era chiaro che fosse destinato a schiantarsi su un’enorme quercia. Non potè fare altro che tentare di attutire il colpo, spingendo in avanti le zampe posteriori e allargando le ali a cercare di rallentare la propria corsa. Il colpo fu duro: sbatté il muso su un ramo particolarmente largo e cominciò a precipitare. Tentò di recuperare quota allargando le appendici, ma esse finirono per impigliarsi nell’intricata rete di rami e foglie. Si ritrovò quindi appeso a testa in giù, incapace di liberare gli arti. Nonostante i numerosi tentativi di sbrogliare la massa vegetale, fu presto chiaro che non avrebbe potuto fare molto da solo. La stanchezza prese il sopravvento e presto il drago si addormentò, ancora appeso alla quercia.

L’alba si affacciò timida alle sue spalle. Bánaí non poteva vederla in quella posizione, ma percepì il dolce calore mattutino avvolgergli il corpo indolenzito.

«Cosa stai facendo?» Disse una strana voce nell’ombra.

Il drago ebbe un sussulto. Tentò di identificare l’interlocutore, ma in quella posizione il suo campo visivo era molto limitato.

«Temo tu sia incastrato. Hai bisogno di aiuto?» Ancora quella strana voce metallica.

«Chi va là? Chi si nasconde in questa timida mattina?» Gli chiese il drago titubante.

«Dovresti dirmi tu cosa ci fa un Drago Celeste nel Bosco degli Elfi. Sei in avanscoperta?» gli chiese una strana creatura sbucando dai cespugli: era un giovane Elfo Silvano, ma a differenza dei suoi simili, generalmente molto alti e possenti, la sua statura era piuttosto contenuta, molto più simile a quella degli umani.

«Ti chiedo scusa, non ho alcuna intenzione malvagia. La verità è che stavo cercando di affinare le mie abilità nel volo tra gli alberi,» gli rispose il drago sospirando.

L’elfo si avvicinò: indossava delle vesti molto semplici, tipiche delle classi artigiane. Si sporse per parlargli meglio: «Ti alleni per l’Accademia?»

Bánaí sorrise: «È il mio desiderio più grande potervi accedere.»

L’elfo piegò la testa grattandosi i capelli marroni: «Perdona la mia franchezza, ma non sei un po’ troppo giovane per i Grandi Giochi?»

Bánaí si sorprese della sua perspicacia: pochi erano coloro in grado di distinguere un drago giovane da un anziano, in particolare tra gli Elfi Silvani: la loro struttura imponente, infatti, ne faceva dei pessimi fantini. Erano secoli ormai che i draghi venivano cavalcati solo da umani e qualche intrepido nano.

«Conosci i draghi?»

«Abbastanza da sapere che non dovresti trovarti qui di notte, soprattutto con un manto tanto bello come il tuo. Ci sono orde di bracconieri che si nascondono nella selva e ti venderebbero volentieri al mercato nero. Dovresti prestare maggiore attenzione.»

Il drago scosse la testa rassegnato: «Hai ragione, sono stato proprio incauto».

L’elfo si trovava ormai esattamente sotto di lui e osservava con attenzione i rami che tenevano bloccate le sue ali.

«Credo di poterti liberare, ma temo che la caduta non sarà divertente.»

Bánaí sorrise nuovamente: «Non sarà di certo peggio dell’imbarazzo di trovarmi quassù, in questa posizione ridicola…»

L’elfo sorrise a sua volta, un sorriso luminoso, dolce, rassicurante. Gli Elfi Silvani normalmente erano duri, imperturbabili, ma lui sembrava l’esatto contrario.

«Mi chiamo Saradal, figlio di Ail. Chi ho l’onore di salvare?»

«Il mio nome è Bánaí, figlio di Stosi, il Drago Ferroso…»

«Stosi, il Guardiano delle Grotte Tonanti… » lo interruppe Saradel, «È un vero piacere fare la tua conoscenza, ma ora devo chiederti di non muovere le ali se ti è possibile: il mio Controllo Frondoso non è dei migliori.»

Saradal sollevò entrambe le mani e appoggiò i palmi sul tronco, recitando la sua litania. Il drago sentì la pressione dei rami allentarsi, mentre essi si ritiravano, lasciando libere le ali. In men che non si dica si ritrovò a terra con un tonfo.

Si issò finalmente sulle zampe e si inchinò di fronte al giovane elfo: «Sei il mio salvatore, Saradal».

«Ho solo agito come ogni buon elfo avrebbe fatto.»

«Lascia almeno che mi sdebiti…»

Saradal scosse la testa: «Non c’è nessun debito. Ti ho aiutato con piacere e con piacere ho condiviso questi momenti insieme».

Bánaí insistette: «Ti prego. Ne va del mio onore».

Saradal si grattò nuovamente i folti capelli, scostando una ciocca e mostrando le orecchie a punta: «Ci sarebbe una cosa, ma è talmente folle…»

«Non temere, amico mio. Dimmi ciò che desideri, sarà per me un onore renderti felice…»

L’elfo abbassò lo sguardo e scostò col piede alcune foglie secche: «È talmente impossibile…»

«Mi piacciono le sfide,» lo interruppe il drago.

«Essia: so che gli Elfi Silvani non sono adatti al volo, ma pensavo che essendo io molto più esile forse avrei potuto… » Non ebbe il coraggio di terminare la frase e fu proprio Bánaí a completarla: «Cavalcarmi?»

Sentendo quella parola, Saradal si affrettò a ripetere quanto quella idea fosse ridicola, ma Bánaí era deciso a rendere il favore al suo nuovo amico: «Sarò felicissimo di esaudire il tuo desiderio, Saradal figlio di Ail.»

Detto ciò si inchinò per permettere all’elfo di posizionarsi sulla sua schiena. Finora gli era capitato solo di trasportare bambini e adolescenti, ma era convinto di poter portare l’esile figura di Saradal.

L’elfo non poteva credere ai propri occhi: un Drago Celeste che si inchinava per permettere a un Elfo Silvano di poter solcare il cielo, in quella splendida notte di luna piena: «Che follia…»

Si avvicinò con cautela alla zampa posteriore, puntellò il piede sul ginocchio e lo usò per issarsi sul dorso del drago. Si posizionò esattamente nel punto in cui la schiena incontra il collo, dove le scaglie sono più fitte e permettono una presa maggiore. Cercò di non appesantire troppo l’arcata alare, appiattendosi il più possibile.

Bánaí si rese subito conto che il peso decisamente contenuto del suo amico gli avrebbe permesso un volo molto dinamico. Per prima cosa però doveva allontanarsi dal fitto della foresta, per evitare un nuovo spiacevole incidente. Appoggiò le ali a terra e si lanciò di corsa fuori dalla zona più centrale del bosco, correndo a quattro zampe. Grazie alla sua agilità e al Controllo Frondoso di Saradel, che scostava i rami più spessi, raggiunsero il limitare del bosco in pochissimo tempo. Una volta giunti in campo aperto il drago sollevò le appendici, mostrando l’apertura alare. L’elfo trasalì per lo stupore.

Data l’inesperienza del suo fantino, Bánaí decise di partire con un volo in piano a una velocità molto contenuta. L’entusiasmo dell’elfo esplose quasi immediatamente e ciò spinse il drago a usare qualche piccola manovra per mostrare di cosa era veramente capace un Drago Celeste. Saradel si tenne saldamente alle sue placche dorsale e col corpo seguì i movimenti dell’animale: era un cavaliere nato, come se ne vedevano pochi. Volarono insieme per un’ora intera, contagiati dalla spensieratezza e dall’eccitazione. Quando l’elfo scese a terra, quasi cadde inconsapevole dello sforzo che le sue gambe avevano sopportato durante la cavalcata.

«Sei davvero portato per il Volo su Scaglia» gli disse Bánaí.

«Solo grazie alle tue capacità di volo: mi sentivo totalmente al sicuro. Non ho mai provato una tale gioia in tutta la mia vita. Non potrò mai ringraziarti abbastanza per avermi concesso di vivere questo sogno.»

Il drago annuì: «È stato vero piacere; anzi sarei onorato se diventassi il mio fantino».

Saradel lo guardò confuso: «Cosa…»

Bánaí pensò di averlo offeso: «Trovi che sia una richiesta tanto assurda?»

«Assurda e folle… Ma il mio desiderio supera la prudenza,» gli rispose Saradel indeciso. Seguirono minuti di silenzio nel quale nessuno dei due osava proferire parola. Fu l’elfo a spezzare quell’incantesimo: «E sia, facciamolo!»

Ora era il drago a non riuscire più a contenere la propria gioia.

«Che oggi abbia inizio il nostro viaggio,» disse il drago

«Che oggi abbia inizio la nostra amicizia,» rispose l’elfo.

2 risposte

  1. Giorgio lorusso ha detto:

    Voto per questo racconto

  2. Elena ha detto:

    Voto questo racconto

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