L’EQUAZIONE D’ONDA
Di Luisa Frosali
Elia me lo confermava. Tutte le volte che lo osservavo, specialmente quando giocava, era l’immagine sputata di sua madre, quella incantevole creatura di cui mi ero perdutamente innamorato appena due anni prima.
“Voglio salutare la mamma” mi informò della sua decisione Elia con quella sua calma così inconsueta per la sua, giovane, tenera età.
“Non è un posto per bambini!” risposi a mio figlio in un tono brusco e scostante.
“La mamma vuole che le reciti la preghiera dal Libro
Tibetano dei Morti.”
Squadrai mio figlio, sangue del mio sangue, come se avessi avuto un mostro davanti. “Il libro di cosa?!”
“Hai capito bene papà.”
“E tu sai leggere?” invece di canzonarlo, lo schernii.
“No, conosco il libro a memoria.”
Il mio orrore stava diventando pervasivo.
“La mamma mi ha detto che aveva bisogno che la guidassi.”
“Guidare?!”
“Guidare a guardare la luce giusta”
Adesso ero davvero terrorizzato e quel che è peggio era che mio figlio mi stava guardando con la stessa pazienza con cui Donatella, la mia adorata compagna di vita, spesso mi guardava quando mi arrabbiavo con lei, o con i miei, o mia sorella, il mio datore di lavoro, i miei colleghi, i miei amici, il prete, i politici ed il mio cane!
Donatella mi accarezzava con il suo sguardo tenero, sussurrandomi parole come: “Devi capire che il motivo per cui soffri così tanto è perchè c’è una parte dentro di te che è in disarmonia con le altre parti di te”.
Io, come capitava spesso, la studiavo in parte allucinato e in parte ipnotizzato. Dio! Quanto amavo e odiavo, contemporaneamente, con la stessa forza, la stessa intensità, paritariamente quella donna e quel che è peggio, nutrivo esattamente le stesse emozioni nei confronti di mio figlio. Io! Quello che aveva giurato di essere un genitore perfetto. Così anche la stessa mattina in cui Elia era prono sulla salma di sua madre a recitare parole che avevano sempre prodotto dentro di me una forte repulsione e allo stesso tempo una forte fascinazione, non riuscivo a controllare le mie emozioni, i miei sentimenti.
“La mamma è morta! Basta con queste sciocchezze!” e proprio mentre stavo gridando queste parole, ecco mia madre fare la sua apparizione da prima donna con tanto di tre fazzoletti, singhiozzi e singulti.
“Ciao nonna” la salutò placido e tranquillo suo nipote che, a quanto pare, aveva finito di recitare quelle assurdità. “Povero bambino come farai senza la tua mamma!” piagnucolò istericamente mia madre. Anche in quel momento ero sul punto di perdere le staffe, ma fui salvato dall’entrata in scena di mia sorella che, con la sua solita faccia di bronzo, esclamò: “Donatella è bella anche da morta!”
“Eh, sì” sospirò mia madre e proseguì “tu non ci diventi bella così neanche fra dieci rincarnazioni.”
Se non fosse stato per l’improvviso arrivo di mio padre, già alticcio di prima mattina, avrei iniziato a gridare come un matto.
“Non avete sentito cosa sta succedendo?” e tutti noi, tranne Elia, non lo degnammo neanche di uno sguardo.
“Una folla impazzita di anti-detrattori di organi sta marciando verso l’Ospedale!”
“Oh! Gastone! Per cortesia!” commentò mia madre sventolando in aria i tre fazzoletti zuppi di moccico. “Ma è la verità!” si difese a fatica mio padre con la voce impastata. Io non riuscivo a muovermi. Fissavo Donatella con i pugni stretti e fremevo di una rabbia sempre più crescente.
“E se il nonno dicesse la verità?”
Tutti ci voltammo a guardare mio figlio fermo in piedi accanto alla salma di sua madre.
“C’è un solo modo per saperlo” e mia sorella tirò fuori lo smartphone dalla tasca del suo impermeabile. La ricerca fu molto breve ed il suo sguardo sgomento colse me e mia madre di sorpresa.
“Cosa facciamo?” chiese atterrita mia sorella.
“Dobbiamo correre alla macchina” gridò mia madre. “Quale?” chiese distrattamente mio padre e, prima che i miei cominciassero con uno dei loro patetici bisticci, gridai, dando finalmente sfogo a tutta la mia rabbia repressa.
“Piantatela!” e senza aggiungere altro, presi Elia in braccio, dopo aver dato un ultimo sguardo a quel che restava di Donatella. I miei genitori correvano dietro di me e mia sorella, con il fiatone sempre più grosso, continuava a supplicarmi di rallentare. Eccola la lotta contro lo spazio, il tempo e la materia: le scale, gli ascensori, la calca di gente impaurita. Dopo quella che era sembrata un’eternità, finalmente, eravamo riusciti ad uscire dall’ospedale. Di camminare lungo il marciapiede non se ne parlava proprio. Ormai non solo i pazienti ma anche i medici e gli infermieri si erano riversati sulle strade. I mezzi pubblici, compresi i taxi erano stati tutti presi d’assalto. Una lunghissima colonna di macchine stava già intasando le arterie principali che partivano dalla struttura ospedaliera. Io, oltre a tenere mio figlio stretto fra le braccia, dovevo tenere d’occhio quell’ubriacone di mio padre che barcollava. Mia sorella, a fatica, mi seguiva e, malgrado il baccano infernale intorno a noi, riuscivo a sentire le sue grida indirizzate contro mia madre che arrancava. Fu tutto così improvviso. Avevamo quasi raggiunto le nostre auto quando la folla inferocita di anti-detrattori di organi si riversò anche nel sottopassaggio, tutti vestiti di nero, con sopra le loro teste incappucciate, le falci che brillavano alla malevola luce dei fari elettrici. Mia madre, alla loro vista, prese a correre nella direzione opposta ed è così che una macchina la investì gettandola in aria come una palla da baseball per poi finire infilzata come uno spiedino da una palizzata.
Mia sorella, intanto, era accorsa in aiuto di mio padre che era caduto a terra. Neanche il tempo di sollevare il capo che la luna argentea la decapitò mentre la folla camminava sopra mio padre come fosse stato una moquette di carne. “Papà” mi supplicava stringendo sempre più forti le sue esili braccia intorno al mio collo “Papà pensa a me.” Fui sorpreso di trovare calma e serinità non solo nei suoi occhi ma anche nella sua voce e sul suo volto.
“Pensa a me e la mamma.”
I miei occhi, le mie orecchie entrarono dentro i suoi. In un istante vidi me e mio figlio diventare un’onda di luce mischiata armonicamente ad un’onda di oscurità. Le due onde erano perfettamente sovrapposte. Poi l’immagine sparì del tutto e con essa sparì anche la folla di anti-detrattori di organi che non ci avevano minimamente sfiorato. Capii.