LA GRANDE QUERCIA
Di Francesco Mazzucco
La grande quercia dominava, dall’alto della sua chioma, la piatta campagna. La strada non era lontana, così poté vedere sin dal principio come si svolsero i fatti. L’automobile si fermò sul bordo della strada e ne uscì un uomo, con in braccio un cucciolo di cane. Si allontanò di una ventina di passi dalla strada, lo appoggiò delicatamente sull’erba e gli fece una carezza. Per qualche istante parve indeciso sul da farsi, quindi gli mostrò una pallina rossa, che poi lanciò lontano. Non appena il cucciolo rincorse la pallina, l’uomo si allontanò velocemente, risalì in macchina e partì. Quando il cucciolo si voltò, l’auto era già lontana. Rimase lì seduto, fermo, probabilmente confuso, con la pallina stretta fra i denti, ad attendere il ritorno del suo umano, per tutta la mattina e buona parte del pomeriggio. La quercia non lo perse mai di vista. Dovendo rimanere sempre nello stesso posto, la vita di un albero a volte può essere noiosa, e la vicenda aveva catturato la sua attenzione. Era inverno e, man mano che il sole scendeva sull’orizzonte, la temperatura diminuì.
Quando la luce iniziò a calare, il cucciolo si alzò in piedi sulle quattro zampe e mosse qualche passo, incerto sul da farsi. La quercia ipotizzò che il freddo fosse divenuto pungente, o si fosse reso conto che l’umano non sarebbe più tornato a riprenderlo. I suoi movimenti erano incerti, come se non sapesse bene da che parte dirigersi. Alla fine, a capo chino e mestamente, si incamminò proprio in direzione del vecchio albero. Giunse al riparo della sua chioma spoglia appena prima che gli ultimi spiragli di luce lasciassero il posto al buio della notte.
«Ciao», frusciò l’albero.
«Ciao», rispose il cane.
La spessa corteccia proteggeva l’albero dalla rigida temperatura; non altrettanto era in grado di fare il pur folto pelo marroncino chiaro del cagnolino, che tremava dal freddo.
«Se vuoi, puoi ripararti sotto i miei rami», gli sussurrò l’albero. «Non sono rimaste molte foglie ma, se non altro, ti proteggeranno dalla brina notturna».
«Grazie», disse il cane, raggomitolandosi vicino al tronco della quercia, spostando col corpo le foglie secche per prepararsi una specie di nido. «Spero che il mio padrone si accorga che sono qui, quando tornerà a prendermi».
«Certo. Non preoccuparti», borbottò la quercia. «Sono l’unico albero in questa zona. Verrà sicuramente a cercarti qua».
Non sarebbe arrivato nessuno, ma chi era lei, ragionò la quercia, per togliere le speranze a quel batuffolo di pelo? Gli umani sapevano essere crudeli, a volte, lei lo sapeva bene, ma con quale coraggio quell’uomo aveva potuto abbandonare al freddo invernale quell’indifeso cagnolino?
La notte fu lunga e gelida; la quercia fece quanto possibile per riparare il cucciolo con le proprie fronde, rese più rade dal passaggio dell’inverno. Spogliò i rami di qualche foglia ormai rinsecchita, lasciandola cadere sopra il corpo del cagnolino addormentato.
Quando i primi raggi di sole illuminarono la pianura, con un sospiro la quercia accolse la visione di una figura incappucciata che si stagliava in lontananza, e si avvicinava lentamente appoggiata al suo bastone.
«Ciao, Morte», la salutò, quando la figura le fu dinanzi.
«Ciao, Quercia», rispose lei.
«È proprio necessario?», domandò l’albero.
«È il corso della vita», rispose laconicamente la figura.
«È così un bel cucciolo».
«Sì».
«Sei venuta più di una volta a riposarti all’ombra delle mie fronde, durante i mesi caldi dell’estate».
«Sì».
«Non ti ho mai chiesto nulla».
«No».
La quercia tacque. Si era già spinta troppo oltre.
La Morte parve soppesare le parole dell’albero. Per lunghi minuti rimase immobile, appoggiata al suo bastone, lo sguardo nascosto sotto il cappuccio.
Infine, si mosse. Percorse i pochi passi che la separavano dal cucciolo, inerme sul terreno, e gli appoggiò una mano scheletrica sulla testa.
«Hai ancora tanto amore da donare», affermò. «E sia. Questa mattina non ti porterò con me».
Si sfilò il mantello e lo pose con cura a coprire il corpo del piccolo animale.
«L’aria adesso è fredda, ma più tardi il sole ti scalderà», sussurrò.
«Grazie», mormorò l’albero, sollevato.
«Mi permetterai ancora di riposare all’ombra dei tuoi rami?», sogghignò la Morte.
«L’avrei fatto comunque», rispose la quercia.
«Lo so», annuì la figura scheletrica. «Ma hai ragione, è proprio un bel cucciolo. Verrà comunque il suo tempo, prima o poi. E tu sei una buona amica».
Diede un’ultima occhiata al fagotto accanto ai suoi piedi, poi voltò le spalle alla quercia e si allontanò.
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