IL PRESCELTO

Racconto in concorso

IL PRESCELTO

Di Carlo Bramanti

Si è fatto tardi.

La piccola clessidra ciondolante sul cruscotto è impietosa.

Fili di sottile sabbia rossa scorrono ineluttabili nell’ampolla inferiore, tra le dita di una mano divina immaginaria.

Angelo deve affrettarsi, ma ogni minuscolo particolare, non sa perché, riesce a distrarlo, a farlo cadere in pensieri ossessivo-compulsivi.

Un respiro profondo e pigia sul pedale dell’acceleratore.

Ottanta, novanta, cento.

In lontananza scorge sterminati campi di lavanda e una giovane donna con una veste bianca fino alle ginocchia candide: la giovane ha un braccialetto verde speranza alla caviglia destra e si gode il soave profumo che evoca la Provenza, le campagne assolate rubate a sogni di porcellana.

Vorrebbe avvicinarsi a lei ma la clessidra impera, ha i minuti contati.

“Muoviti, muoviti!” intima a se stesso.

La grande festa sarà domani e a lui come al solito tocca il lavoro sporco.

Sai che novità!

Suo padre gli ha ordinato di uccidere il maialino più grosso della fattoria per il ricevimento in onore dei diciotto anni di Maria, una ragazza che nemmeno conosce, figlia di una cara amica di sua madre.

“Perché sempre io?” si chiede Angelo sul sentiero dei biancospini, diretto alla fattoria.

Ha la sensazione che suo padre gli rimproveri ogni santo giorno qualcosa, che ce l’abbia con lui ma non abbia il fegato di dirglielo in faccia.

“Sei un vigliacco, papà?” rimugina.

Un petalo bianco incrocia la sua strada, indugia sospeso a mezz’aria. Angelo pensa subito alla storia che aleggia su quel sentiero: se un petalo candido come neve incrocia il tuo cammino, esprimi un desiderio e nel giro di pochi giormi si avvererà.

Ha sentito la leggenda decine di volte in città, nei bar, fuori dalla chiesa.

Non ci crede più di tanto, ma lo esprime lo stesso, desidera intensamente riabbracciare una persona alla quale è rimasto legato da un filo indissolubile.

“Sai com’è, non si sa mai… Magari gli anziani lì giù in città hanno ragione… In fondo chi può giurare sulla realtà che ci circonda? Chi può essere sicuro di cosa sia vero e cosa sia folle? Fernando Pessoa sosteneva che la realtà altro non è che un sogno dal quale un giorno ci sveglieremo… “Muoviti, muoviti testone! Basta con la filosofia spicciola!”

Il ragazzo guida un vecchio furgoncino giallo Volkswagen tempestato di gigli dai colori più variegati, quasi fosse l’unico hippy rimasto al mondo ancora in cerca di favolose contestazioni.

Anche lui ha da poco compiuto diciotto anni, ma nessuna festa è stata organizzata, nessun augurio ricevuto, nessun regalo da mostrare con orgoglio agli amici, se qualche amico avesse avuto.

“Perché non hai amici Angelo? Sei talmente pesante che nessuno ti vuole accanto?”

La testa gli duole.

Cerca di respirare profondamente come gli ha insegnato il suo dottore di casa, il signor Molina.

È arrivato.

La fattoria è circondata da alberi di arance in piena fioritura. Il cancello è stato appena dipinto di rosso, si sente ancora l’odore della vernice fresca, e appena il ragazzo inserisce la chiave dorata nel lucchetto arrugginito, un forte odore di zagara gli pervade cuore e polmoni.

“Forse è questo ciò che si prova quando una ragazza ti bacia”, pensa mentre una gallina solitaria gli si para davanti.

Angelo non se ne cura e con passo deciso va verso il recinto pieno di maiali.

La gallina nana lo segue come un’ombra, ne scruta i passi risoluti.

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L’ordine paterno è semplice: prendere il più grosso e portarlo da “Tony lo sgozzatore” per la gioia degli invitati alla festa di Maria.

I maiali, che prima giocavano nel fango, ora lo guardano intimoriti.

Angelo ha deciso. Indossati dei pesanti stivali rossi trovati davanti a un casotto, entra nel recinto e insegue quello più in carne, ma l’impresa non è così semplice come crede: il suino sarà pure ciccione, però mostra da subito uno scatto alla Usain Bolt. Tre volte, nel tentativo di beccarlo, si ritrova con la faccia immersa nel fango.

“Cosa sei, un gatto o un maiale?” gli chiede sbuffando. “Chi ti ha allenato, Pietro Mennea?”

Una strana scena gli si presenta in testa: è ancora bambino e corre nel recinto con suo fratello, Luca, di un anno più grande; si divertono a sguazzare nel fango, a fingere di essere maiali. Angelo cade ripetutamente nel provare a raggiungere Luca. Quest’ultimo varca un traguardo immaginario e vince, come al solito. Luca alza le mani, ma dopo aver esultato si inginocchia accanto ad Angelo e poggia la mano destra sulla sua.

“Ogni mia vittoria è tua, fratello. Noi condividiamo tutto”, dice balbettando un po’.

Sorridono entrambi e si alzano.

Dietro di loro il sole è un’arancia divorata pian piano dalla collina.

Riccioli di rosa dipingono qua e là la volta celeste, la trasformano in un quadro di Monet.

Angelo è ancora nel fango con i suoi ricordi quando il maialino prescelto si avvicina e poggia la zampa destra sulla sua mano.

Trova strano che gli sia venuto vicino nonostante lui abbia cercato di rincorrerlo senza tregua.

I suoi piccoli occhi sono due puntini marroni vividi, hanno qualcosa di umano, il ragazzo ne percepisce la paura fino a rabbrividire. Cerca di scacciare quall’emozione inaspettata, prende in braccio l’animale e a fatica riesce a metterlo nel furgoncino.

“Perché non sei scappato? Sei stupido o cosa? Non sai dove stiamo andando, vero?”

Il suino si dimena e Angelo si vede costretto a legarlo con una robusta corda di canapa al sedile anteriore del mezzo.

Il giovane è pronto a partire.

Inserisce nel mangianastri dello stereo un album di Alessio Caraturo: Goldrake è la canzone che dà il via alla cassetta. Di nuovo un forte odore di zagara lo investe come se si trovasse ancora fuori dall’abitacolo. Il ragazzo si sente smarrito, spiazzato, non vorrebbe ricordare ma è inevitabile.

Angelo e Luca stavolta sono davanti a un televisore Grundig antidiluviano e quando parte la sigla del cartone Goldrake, Luca urla “Ci siamoooo”. Angelo cerca di mandare via anche quel ricordo. Impossibile.

“Va’, contro i mostri lanciati da Vega”, sussurra lo stereo gracchiando un po’. Un brivido percorre la schiena del giovane che cerca di non farsi prendere dal panico. Il maialino grugnisce forte poi guarda il suo compagno di viaggio, sembra dirgli “perché mi fai questo?”

Il cielo si rannuvola all’improvviso, nessuna striatura rosa lo adorna, alcune nubi perfino si riuniscono a ricreare l’urlo di Munch. Lievi gocce dipingono l’oscurità.

“Non posso farlo”, riflette ad alta voce Angelo. “Non posso farlo ammazzare, chi sono io per decidere della vita altrui? Per il senso di colpa non riuscirei a vivere…”

Adesso ricorda anche quello che ha tentato di rimuovere dalla mente a ogni soffio di luce vestito da respiro.

Suo padre guida l’auto, una Mercedes 300 SLR Uhlenhaut Coupé grigio metalizzata; Angelo e Luca sono sul sedile posteriore, giocano a nomi, cose e città. A un certo punto Angelo, per fare un dispetto a Luca che sta vincendo di 65 punti, slaccia la sua cintura.

Accade.

L’uomo al volante, dopo due ore e quindici minuti di strada percorsa, ha un colpo di sonno improvviso, l’auto sbanda e finisce contro il guard rail. Un camionista di passaggio, su un IXO Fiat 619 blu, la coglie in pieno sulla fiancata sinistra, quasi tranciandola in due.

A causa dell’urto violentissimo, Luca, non trattenuto dalla cintura, sfonda il parabrezza con la testa

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e viene sbalzato fuori, a due metri circa dalla Mercedes 300.

Muore sul colpo.

Angelo, trattenuto in parte dalla cintura ben salda, sbatte violentemente la tempia su ciò che è rimasto del lunotto posteriore, riportando profondi tagli al collo e alle guance.

Suo padre ne esce miracolosamente illeso ma sotto shock.

In undici minuti, in un caos privo di colori appesantito dal sovrapporsi di voci sconosciute, il ragazzo viene portato in ospedale e operato d’urgenza.

Ha un taglio alla carotide di un pollice e mezzo.

Adesso ricorda, rammenta l’esatto momento in cui la sua anima ha lasciato l’involucro nel quale è nato e cresciuto. Vede il se stesso materiale sdraiato sul lettino della sala operatoria, immobile, e si sente fluttuare in qualità di pura essenza tra le pareti anemiche della grande stanza. I medici si agitano, urlano qualcosa, ma sono quasi insostenibili la gioia e la leggerezza che lo pervadono.

Il macchinario al quale è appeso dà sul monitor una linea quasi piatta.

Defibrillatore semiautomatico.

Prima scossa. Niente.

Seconda scossa. Nulla.

Terza scossa.

La linea non ha più curve, nonostante gli sforzi disperati del medico.

Angelo è un po’ confuso però sente che non deve avere paura. Sarebbe sciocco perché sa che nulla può più ferirgli l’anima.

Torna alla realtà del momento o a ciò che sembra così.

In trance libera il maialino dalla cintura come se chiudesse un cerchio perfetto. Click. D’incanto l’animale pian piano cambia fattezze fino a trasformarsi nel fratello tanto amato. Il furgoncino è sparito, assieme alla fattoria e al senso di colpa, ma l’odore di zagara persiste.

“Sono Maria”, dice una giovane donna bellissima avanzando a piedi nudi verso di lui, circondata da un bianco vuoto.

È la donna che ha visto prima di entrare nella fattoria, ne è sicuro al cento per cento.

Ha ancora il braccialetto alla caviglia destra, ma la veste adesso è verde.

“Chi sei? Non ti ho vista arrivare. Da dove vieni?”

“Non sono nessuno, non voglio niente, stai tranquillo. Considerami un’estranea all’apparenza. Voglio solo farti capire quanto amore ha il tuo cuore, quanto sei speciale, e che meriti il luogo in cui stai per ricominciare a vivere. Pochi avrebbero agito come te. Qui termina il tuo sconsolato vagare tra le ombre inquiete”, aggiunge sulla scia di una serenità che Angelo non ha mai provato.

Il ragazzo non dice più nulla perché comprende che nulla c’è da discutere. Si tratta soltanto di accettare. L’ansia e la paura sono svanite. Abbraccia il fratello in lacrime e s’incammina con lui su una nuvola azzurra a forma di cappello a cilindro. Sotto, nella fattoria di suo padre che pensa ai due figli perduti, al senso di colpa che lo tormenta da anni, i maialini presenti guardano una porzione di cielo sporcandosi di gioia.