L’ACQUA DI MYR
Di Marta Andrea Zambianchi
Il sibilo dell’aria che risaliva dal Baratro le stava togliendo la ragione poco a poco.
«Sbrighiamoci a trovare la maledetta fonte di Myr.»
Dopo essersi pulita le mani impiastricciate di gelatina verde, strofinandole distratta sulla casacca, lanciò un’occhiata alla cartuccera attorno ai fianchi.
«Te ne rimane una, eh?»
«L’unica in tutto l’esercito, che fortuna…»
«Ora tutti contano su di noi. Non possiamo fallire.»
In quell’esatto momento le si contorse l’addome. Lo stomaco le si stropicciò.
«Basterà. Dài, scendi giù, non perdiamo tempo.»
«Aspetta: ripassiamo prima il piano, eh?»
«Non essere ridicolo! Lo abbiamo già ripetuto mille volte in viaggio assieme agli altri.»
«Io ci ho prestato poca attenzione, speravo che arrivassimo tutti insieme qui, eh!»
«Siamo soldati e siamo tutti sostituibili, avresti dovuto prevedere che nessuno resta a guardare durante le missioni.»
«Ti prego, eh? Sai che quando devo fare le cose da solo mi gira la testa e mi deconcentro…»
Staffa lanciò un’occhiata alle sue spalle. I cadaveri dei Camaleonte giacevano scomposti un po’ ovunque. Con un sospiro tornò a osservare il commilitone.
«Va bene. Tu scendi, mentre io tengo la corda con le ultime forze che mi ha dato l’acqua di Myr. Una volta sotto accenderai una luce.»
«Rossa: tirami su, eh, verde: puoi scendere.»
«Sì. Se la luce è rossa tu devi solo sopravvivere mentre ti tiro su.»
Gavetta tirò su col naso e si imbracò, poi cinse un tronco rinsecchito con l’altro capo.
«Sei davvero sicura che funzionerà?»
«Come questi monti sono lilla.»
Staffa sfiorò con un dito l’ultima fiala di acqua di Myr nella cartuccera e sorrise tesa a Gavetta che, di contro, osservò il Baratro che finiva nell’oscurità più nera.
«Allora vado, eh?»
Staffa annuì flebilmente e prese l’altro capo della corda.
Gavetta si aggrappò alla pietra e cominciò a scendere.
Passò un’eternità, o forse pochi istanti. L’ansia le faceva brutti scherzi.
«Sono due spanne più sotto, eh!»
Staffa tenne con ostinata tensione la corda, sentiva la voce di Gavetta ancora troppo vicina. Osservò di nuovo i corpi dei Camaleonte. Lasciò poi che lo sguardo vagasse un po’ più lontano verso il Passo delle Rocce-Viventi.
Le si attorcigliarono le budella.
«Vedi la fine?»
«Macché. Continua a darmi agio, eh?»
Gli occhi sbarrati di Staffa rimasero incollati al Passo. Non voleva sbattere le palpebre per evitare di perdersi una nuova ondata di Camaleonte. Forse erano già tutti lì: erano le rocce lilla; gli alberi blu rinsecchiti; la nebbiolina che offuscava il sentiero…
Staffa guardò di nuovo la cartuccera, il cuore martellava nelle orecchie.
Un improvviso strattone alla corda la riportò alla realtà. Scivolò per terra e spalancò gli occhi. Mentre veniva trascinata verso l’albero trattenne il fiato. Puntò i piedi contro il tronco e gemette.
«Gavetta, per la febbre astrale, sta’ attento!»
«Ho preso un liscio, ora son fisso, eh! Tieni duro.»
Staffa rimase in apnea per un tempo infinito. Pensò ai caduti in missione, pensò che Gavetta fosse davvero giovane per morire. Anche lei lo era.
La tensione della corda svanì in un colpo.
Staffa si fece pallida e gattonò verso il Baratro.
Il vento la colpì in faccia con uno schiaffo.
“Fa’ che sia verde!”
L’oscurità inghiottiva tutto, le vennero le vertigini. Indietreggiò e si guardò le spalle. Ancora nebbia, sempre rocce lilla.
“Verde, verde, verde, dai…”
Guardò di nuovo giù.
Timido un lumino verde si accese a qualche metro dalla parete: si mosse ondulando.
Staffa finalmente respirò. Si rialzò asciugandosi la fronte e tirò su la corda.
Una volta calatasi, affiancò Gavetta che osservava la grotta con una smorfia sul volto.
«Non mi piace, eh, questo posto…»
«Lo so, ma dobbiamo andare.»
Staffa si sentì costretta a essere la più forte dei due. Gavetta era poco più giovane di lei e lo aveva preso in simpatia.
I due avanzarono.
La luce fioca illuminava la roccia umida. Il vento sembrava poterli sollevare da terra.
«Lo senti questo rumore, eh?»
«Una cascata?»
Staffa deglutì, si sentiva la sabbia in gola.
Con il fiato appeso al lumino verde, avanzarono trascinando i piedi.
I corridoi divennero sempre più stretti. Staffa doveva camminare ingobbita.
Si accorse che Gavetta teneva la sua arma stretta in mano. Lei invece stringeva l’ultima fiala.
«Qui si passa a gattoni, prima tu.»
Gavetta si chinò, aveva gli occhi lucidi.
«Tieni libero il passaggio, eh, dovessi mai scappar via.»
Staffa vide il lumino strozzarsi nell’oscurità. Rimase immobile nel buio della grotta.
Le pizzicò il naso, il cuore le prese a pugni i timpani.
«Pssst! Vieni pure, eh!»
Staffa si buttò a terra e gattonò così veloce da sbucciarsi le ginocchia al di sotto dei pantaloni.
«Guarda un po’, eh?»
Staffa rimase a bocca aperta.
Una cascata di acqua lilla scrosciava lungo una parete e si inabissava tra i cunicoli della grotta. Una piscina si era formata in quella camera piena di stalattiti e stalagmiti coperte di funghi luminosi.
«Ci avresti mai creduto? Siamo davvero arrivati alla fonte di Myr!»
Gavetta posò lo zaino a terra e incastrò il lumino nella fenditura fra due rocce.
«Dobbiamo fare in fretta, eh!»
«Riempiamo le borracce e filiamocela!».
Gavetta immerse due borracce e aspettò che facessero le ultime bolle prima di tirarle su.
Staffa fece lo stesso, ma con la coda dell’occhio le sembrò di vedere un riflesso dietro la cascata.
«Gav! Non siamo soli!»
Il ragazzo spalancò gli occhi e tastò alla rinfusa alla ricerca della sua arma.
Staffa estrasse l’ultima fiala e la stappò.
Poco prima di berla, però, la roccia di fianco a lei prese vita. Fulmineo un Camaleonte le bloccò il polso e la strattonò.
Gavetta, urlando, provò a scagliarsi contro la creatura che, con uno schiocco della coda, lo spinse dritto nella fonte. Staffa venne colpita. La fiala cadde e si ruppe, cospargendo il liquido a terra.
Gavetta riemerse dall’acqua lilla e venne subito afferrato dal Camaleonte.
Staffa osservò la fiala rotta e le borracce piene. Senza una dose misurata di acqua di Myr, non sarebbe riuscita a battere un Camaleonte adulto.
“Troppa ti uccide, troppo poca ti stende”, la voce del caporale le risuonò in testa come una condanna.
Si alzò con le lacrime agli occhi, il Camaleonte stava tenendo immerso Gavetta, che si divincolava cercando di liberarsi. Con una roccia, Staffa colpì il Camaleonte alla nuca.
L’essere mollò la presa e si buttò in acqua, sparendo dalla vista.
Staffa tirò su Gavetta in un baleno.
«Hai bevuto?!»
«N-no! Presto scappiamo!»
«Gav, fermati! Abbiamo faticato per arrivare qui e ora non possiamo farci fermare. Combattiamo! Dobbiamo portare a termine la missione!»
Gavetta si asciugò il viso, forse dalle lacrime, forse dall’acqua di Myr. Annuì.
«Schiena a schiena: se vedi un guizzo, grida la posizione»
Staffa e Gav si misero spalle contro spalle.
«Ecco! Ecco! Appeso al soffitto!»
«Ma no eh! Nell’acqua!»
«Dov’è! Dov’è!»
Il lumino si spense di colpo e i due rimasero nella penombra.
Lo scroscio dell’acqua copriva i loro pensieri.
Staffa sentì Gavetta scendere sulle ginocchia e iniziare a singhiozzare.
«No, Gav! Ti prego rialzati!»
«Non ci riesco, eh…»
Staffa provò a tirare su il compagno, senza successo.
Nella penombra qualcosa si mosse di nuovo. Staffa si mise in difesa del compagno.
«Fatti avanti, mostro!»
«Mostro… Io?»
Una voce schioccante echeggiò nella caverna. Era una voce rauca, che però copriva il rumore della cascata.
«Sì, mostro! Vieni fuori e affrontami! Se ti nascondi sei solo un vigliacco!»
Gav si aggrappò al pantalone di Staffa e mugolò ancora più forte.
La creatura divenne visibile di nuovo. Era una stalattite a qualche spanna da loro.
Staffa faticava a parlare, aveva la mandibola così serrata che le faceva male.
«Spara, eh, spara!»
Staffa provò a sparare, ma la creatura divenne di nuovo invisibile.
«Siete arrivati un giorno come un altro» la creatura parlò in schiocchi «Il rumore della vostra nave ha svegliato i nostri figli. Siete approdati e avete calpestato i raccolti, avete schiacciato le nostre uova. Ci avete lasciati gridare mentre ci spingevate in una gola per giustiziarci senza pietà»
Staffa sparò alla rinfusa, la voce della creatura sembrava provenire da tutt’attorno.
«Ci avete torturati. Ci avete tagliato le code e strappato le unghie. Noi vi abbiamo detto del Respiro di Myr, che fa crescere rigogliose le nostre piante e forti i nostri figli. Vi abbiamo chiesto di prendere ciò che volevate e di lasciarci stare. Ma voi non ve ne siete andati. Avete distrutto interi villaggi. Siete venuti in grande numero e ci avete distrutti. Sarei io il mostro?»
Staffa cercò di tirare su Gavetta, che però era caduto in un sonno profondo, “No… Ha bevuto, lo sciocco!”
«Voi mostri viscidi ci avete attaccati appena siamo arrivati in questo mondo! Ci avete vomitato addosso il vostro acido e abbiamo perso numerosi uomini! Non ci avete nemmeno dato il tempo di scendere e porgervi un saluto»
«Così siete fatti, voi umani: siete sempre vittime. Arrivate, devastate tutto e se qualcuno si ribella, voi siete quelli che hanno subito il torto»
La creatura si palesò di nuovo. La sua pelle lucida era del colore di una perla, stava divenendo via via color caffelatte.
«C-cosa stai facendo?»
La creatura si avvicinò. A ogni passo le scaglie divenivano più uniformi, la cresta aculeata si appiattiva e le pupille divennero tonde.
«Quello che è giusto per salvare il mio popolo»
Staffa provò a sparare di nuovo.
Il Generale era in piedi al centro della plancia, con le mani strette dietro la schiena.
Osservò Staffa avanzare con il petto gonfio e il mento alto, seguita da Gavetta e dal suo gruppo.
«Fate rapporto. Avete trovato la fonte?»
Anche altri soldati si avvicinarono, nell’attesa di sentire la risposta.
«Orgoglio Xulam!» gridò Staffa a pieni polmoni con voce rauca e schioccante.
Il Generale impallidì: era circondato.
Quasi tutti i soldati lì erano in realtà Camaleonte.
Si inginocchiò e sperò che fosse veloce, sperò che non sapessero pilotare un Cutter di ultima generazione, con già inserite le coordinate di casa.