APEIROFOBIA
Di Matteo Autuori
«Allora buonanotte, tesoro. La luce, preferisci che la spenga o che la tenga accesa?»
Paul Mason guardò l’inconfondibile figura di sua madre che si stagliava davanti alla porta della sua cameretta. Quei capelli lunghi e ricci, la postura stanca e leggermente ricurva, e soprattutto la voce, sempre accondiscendente e con una calma innata che riusciva ad infondere in chiunque accanto a lei.
Calma di cui quella sera, il giovane aveva assolutamente bisogno.
«Accesa, mamma» disse. «E a proposito, rimarresti qualche minuto qui, accanto a me? Volevo parlarti di una cosa» aggiunse subito dopo, con una punta d’esitazione nella voce.
Sua madre tolse la mano dall’interruttore e si avvicinò al letto, annuendo, sedendosi dopo qualche secondo ai piedi dello stesso e guardando Paul con un sorriso rassicurante.
«Certo che rimango, mi fa piacere. Era da tanto che non mi chiedevi qualcosa, adesso che hai 14 anni sei sempre chiuso in te stesso e nel tuo mondo, non mi racconti praticamente nulla della tua giornata!» Ridacchiò. «Ma sono stata adolescente anch’io, so bene cosa significa» aggiunse subito dopo con tono complice. «Quindi, qualsiasi cosa sia, dimmi pure.»
Paul si guardò intorno, visibilmente irrequieto, come a voler scegliere le parole giuste, poi disse semplicemente: «Ho paura, mamma».
Il volto della signora Mason si fece un po’ più serio, ma senza perdere quella nota di rassicurante serenità che le era propria.
«Abbiamo tutti paura di qualcosa, so che adesso sei in una fase in cui ti sembra di essere invincibile, è normale quando si è…»
«No no, non è quello» si affrettò a dire Paul. «O meglio, non c’entra l’adolescenza, una ragazza, il futuro, quelle cose lì. È un po’ più… Particolare, ma non so come dirtelo, mamma.»
«Beh, provaci comunque!» Disse sorridendo lei.
«Ok.» Paul rifletté un secondo. «Tu sei credente, giusto?»
«Sì, certo» annuì sua madre. «E se la tua paura è che io o tuo padre potremmo rimanere delusi per il fatto che tu non lo sia, beh, sappi che a noi non importa assolutamente niente. Credi in ciò che senti, purché ti renda sempre una persona migliore, tesoro.»
«No no, non è quello, anche se… Grazie» si affrettò a dire il giovane. «È qualcosa di un po’ più complesso, ecco.»
La signora Mason continuò a fissarlo, aspettando che continuasse.
«Non mi ero mai soffermato a pensarci, prima, ma… Per voi, per te e per papà, cosa c’è… Beh, dopo?»
La donna rise. «Oh, tesoro! Passerà tanto di quel tempo, non devi preoccuparti, sei giovane! Ascolta: morire spaventa un po’ tutti, non dirlo a papà ma sono sicuro che spaventa anche lui.» Sorrise in modo complice. «Però non c’è motivo di preoccuparsi, come tutte le cose inevitabili, soffermarvisi sopra non serve se non a riempire la testa di inutili ansie.»
La donna si avvicinò leggermente al giovane.
«Quando ero piccola, tuo nonno mi raccontava sempre di un vecchio proverbio che suo padre amava ripetere, qualcosa del tipo… “Se puoi risolvere un problema, perché preoccuparsene? E se non puoi risolverlo, perché rimuginarci su?” Beh, penso sia un modo di vedere le cose molto pragmatico, non trovi?» ridacchiò.
«Prag- che?» disse Paul. «E comunque, non era proprio quello che intendevo mamma. Ti avevo chiesto cosa c’è dopo la morte.»
La signora Mason tornò seria. «Oh, ok… Dunque…» Rifletté un secondo. «Allora, tanti anni fa probabilmente feci una domanda simile a mia mamma, perché ricordo che mi disse di un’immensa luce che emana calore e serenità, e che avremmo guardato per sempre questo globo luminoso, che poi sarebbe Dio, pieni di gioia senza fine.»
Paul trasalì e sua madre se ne accorse. «Sai, da quando me l’ha detto, è così che ho sempre immaginato il paradiso. È un bel modo di essere vicini a Dio, non ti pare?»
Paul scosse la testa, visibilmente spaventato. «No, non lo è. Per niente.»
La signora Mason sorrise. «Beh, fattelo piacere, perché l’inferno è ripetizione.»
Il giovane sgranò gli occhi. «C… Cosa?»
Sua madre lo guardò, preoccupata. «Non ho detto niente, tesoro, perché mi guardi così?»
«Mamma, hai appena detto una cosa sull’inferno e sulla ripetizione…»
«Paul caro, ti ripeto che non ho aperto bocca e l’inferno, peraltro, non esiste! Lo hanno inventato uomini senza scrupoli per guadagnare potere e controllo sulle persone attraverso la paura di un luogo di tormento, ma Dio vuole bene a tutti e perdona chiunque. Stai tranquillo.» Fece per alzarsi. «Sei un po’ stanco, direi che è ora di dormire. Domattina hai anche la verifica di matematica!»
«Aspetta, mamma!» la fermò il ragazzo, allungando al contempo leggermente il braccio.
«Quel grande globo luminoso di cui parlavi, cosa succede dopo? Ok, lo guardo per un po’, ok sono felice, ma… Dopo? 20 anni passeranno e guarderò la stessa cosa senza poter fare altro, senza provare altro, senza potermi muovere o distogliere lo sguardo… Sarà bello, ok, e cento anni dopo? Sarà ancora così? E centomila anni dopo? E un milione di anni dopo? E un’eternità dopo? Sarò sempre con quella luce davanti senza via di fuga?»
«Sì, Paul» disse la madre allargando il sorriso e digrignando i denti.
Paul si ritirò verso la spalliera del letto, terrorizzato «Eh, cosa… Mamma???»
Sua madre lo guardò, apprensiva. «Tesoro, non ho detto nulla, stavo soltanto per spiegarti che quella sensazione sarà talmente bella che non ti preoccuperai più né del tempo che passa né di altre sensazioni umane… Sei sicuro di sentirti bene? Ti controllo la febbre, lo dicevo io che con il vento di ieri pomeriggio giocare a calcio non era cosa da fare.»
La signora Mason si alzò repentinamente, prese un termometro elettronico dal cassettone e lo premette leggermente contro la fronte del ragazzo. «36.7» annunciò con una punta di sollievo nella voce. «Direi che stai benone. Dormi, ora, tesoro.»
Paul pensò che forse non era stata una buona idea parlare con sua madre, in fondo aveva ancora paura e, se possibile, ne aveva persino più di prima. Ciononostante, si disse, doveva andare a fondo della questione, o non avrebbe dormito come si deve. Forse non avrebbe dormito affatto.
«Mamma» riprese con un filo di voce mentre la donna risistemava il termometro nel cassetto. «Un’ultima cosa. E se la luce non esistesse? Se, ancora peggio, esistesse solo un buio senza fine nel quale fluttuerò per l’eternità, senza suoni, senza poter toccare nulla, senza poter parlare, solo… Nulla? Un nulla che si ripete all’infinito?»
Paul cercò di trattenere la paura all’interno della sua mente, ma gli occhi luccicavano visibilmente e il tono della voce tradiva senza possibilità di incertezza il suo stato d’animo.
Sua madre si chinò verso di lui, e lo abbracciò.
«Paul, non pensare a queste brutte cose, tesoro mio.»
Paul provò un calore che gli sembrava di non sentire da anni mentre la abbracciava a sua volta, stretto e sicuro tra quelle braccia esili ma così protettive. Era questa la sensazione che cercava, in quell’abbraccio ogni paura si scioglieva come neve al sole, diventava un puntino così piccolo da poterlo schiacciare tra il pollice e l’indice.
«D’altronde, piccolo, hai tutta un’eternità per pensarci» aggiunse la donna sorridendo, indicando la finestra. Paul trasalì di colpo, e guardò. Non c’era più traccia della luce del lampione prospiciente l’abitazione, né riusciva a udire le voci dei passanti lungo la via, o gli incerti accordi del figlio dei vicini mentre si esercitava al pianoforte come ogni sera. Neanche più la fioca luce del quarto di luna illuminava l’esterno. Era tutto buio, il buio di qualcuno o qualcosa che aveva divorato ogni stella, ogni suono, ogni senso, e in cambio vomitato assenza ovunque.
In un buio così, ci si poteva perdere davvero. E non avere più riferimenti, appigli, diversificazioni, null’altro a cui pensare, in compagnia solo di sé stessi e della propria mente almeno… Beh, almeno per l’eternità.
Paul lanciò un urlo e si divincolò con facilità dalla presa della madre, che lo guardava sconvolta, costernata.
«Caro, mi stai facendo preoccupare davvero» disse la donna mentre scrutava suo figlio come si faceva con un ingranaggio difettoso del quale non si riusciva a capire il problema a monte. «Ascolta, dormi ora, e domattina ti prometto che ne riparliamo, ok? Non preoccuparti di nulla. Ti lascio la luce accesa, come mi hai detto tu.» Gli baciò la fronte. «Riposa bene, mio piccolo filosofo.»
Paul pensò di essere davvero troppo stanco, e probabilmente immaginava brevi stralci di incubo come in un agitatissimo dormiveglia dal quale riusciva ad emergere soltanto per pochi attimi. L’inferno, la ripetizione, il buio… Stava facendo sì che le sue paure prendessero il sopravvento e, sicuramente complice il sonno, creassero brevi allucinazioni su quel che temeva di più in quel preciso momento.
Cercò di ricomporsi. In fondo aveva ben 14 anni, e non poteva certo lasciarsi spaventare da cose del genere. Le avrebbe superate, d’altronde c’era un’imminente verifica di matematica a cui pensare, diamine.
«Buonanotte, mamma» disse, nel tono più solenne e serioso possibile.
«Buonanotte, Paul, sogni d’oro» rispose sorridendo la signora Mason.
Sentì i passi che si allontanavano, e la porta che si apriva per poi richiudersi. Socchiuse le palpebre e finalmente provò un lieve accenno di serenità. L’eternità avrebbe atteso, pensò scherzando tra sé.
La porta si aprì nuovamente.
«Allora buonanotte, tesoro. La luce, preferisci che la spenga o che la tenga accesa?».
37 risposte
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Bello!! Dialogo sereno e interessante
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Voto questo racconto!!!
Arrivare al termine del racconto provando un senso di angoscia che rimane comunque latente nonostante si faccia altro per non pensarci.
Un racconto in grado di lasciare un segno profondo che apre la mente a tante riflessioni (o a chiudere certe “finestre” per paura di pensarci all’infinito).
Complimenti a Matteo per la capacità di suscitare reazioni così vivide.
Da brivido! (In senso positivo ovviamente!)
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Ottimo racconto. Rapisce e inchioda l’attenzione.
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Grande capacità stilistica ed evocativa.
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