LA SCOPA

Racconto in concorso

LA SCOPA

Di Susanna Furcas

Che strane idee potevano venirle in testa. Aveva visto una scopa, al rientro a casa. La scopa degli operatori ecologici, come venivano chiamati adesso. La scopa delle streghe, come le veniva in mente. La scopa usata dalla befana per visitare tutte le case e calarsi nei camini, la notte del sei gennaio. Questa considerazione le strappò un mesto sorriso. Perché tutte le donne dovessero essere etichettate befane restava un mistero e perché la notte tra il cinque e il sei gennaio dovevano scambiarsi gli auguri era un’insana usanza che non aveva alla fine nessuna importanza, perché nessuna donna vuole essere apostrofata befana, né per scherzo e meno che mai per davvero. Chissà perché quella scopa era stata parcheggiata in quella nicchia nascosta di una stradina del centro storico, dove chiunque avrebbe notato qualsiasi cosa tranne quella scopa ben posizionata. I misteri rimanevano tanti ed eterni. Che qualcuno l’avesse posteggiata, per poi ritrovarla lì, il giorno dopo, al medesimo posto, pronta per un dovere che neanche alla scopa poteva sorridere. Spazzare una strada, dove poteva essere passata ogni porcheria, dove ogni porcheria veniva buttata da chi se ne fregava del bene pubblico. Già e lei, povera scopa, doveva spazzare e solo spazzare, mentre la sua condizione scompariva, spazzata via dallo sporco cittadino. Che pensieri strambi l’attraversavano di rientro a casa. Chissà se poi tutti quelli che camminavano frettolosi nelle strade di città venivano assaliti dagli stessi pensieri o, semplicemente, erano preoccupati di arrivare per tempo agli appuntamenti della giornata. Forse era meglio pensare a una scopa dimenticata da una strega, o lasciata a bell’apposta, in attesa della visita notturna, quando sarebbe tornata a riprendersela in quella nicchia dimenticata o ignorata da tutti i passanti frettolosi, mentre lei, strega navigata, aveva parcheggiato la sua arma notturna. Ma quando l’aveva messa, se si muoveva di notte? Eccola qui. La sua fantasia si muoveva a ripetizione, andando senza capo né coda, come sempre le capitava quando aveva tempo e voglia di inondare la testa di pensieri sregolati. Una strega, con le sembianze di donna qualunque, o donna operatrice ecologica, con una copertura di cui nessuno avrebbe mai potuto dubitare. Figuriamoci. E sarebbe tornata lì, con la luce delle stelle, a recuperare la sua arma e mezzo di trasporto. Eccoci qua. E dove sarebbe andata la presunta strega, visitatrice delle strade vecchie di città? Chissà. Ovunque e da nessuna parte. Avrebbe fatto il giro delle strade. Sarebbe andata a prendere ispirazione in cimiteri, dove le anime dei morti avrebbero gridato il loro dolore, laddove fossero ancora erranti, in attesa di quella pace, che non avevano avuto in vita, o addolorate, per una vita strappata troppo in anticipo. Cribbio, ma se i suoi vicini avessero saputo che pazza scatenata avevano nel palazzo? Se i suoi colleghi avessero intuito che tipo di pensieri l’accompagnavano ogni giorno? Mica andava a raccontarle queste cose. Non era partita di testa, ma i suoi pensieri partivano in libera uscita e unica padrona era lei, che non doveva per forza raccontare di avere trovato una scopa, che chiunque poteva avere dimenticato, abbandonato o chissà altro. Le venivano in mente quei pensieri. Che la scopa aveva un aspetto sinistro era vero, ma non poteva raccontarlo, perché cosa le avrebbero risposto? Tutte tu vai a notarle queste cose e sai perché? Perché non hai una vita normale, con frequentazioni normali. Una vita, insomma. E se fosse stato vero? Ma che le veniva in mente? Andava a giustificare le disamine psicologiche degli altri, incapaci di capire qualcosa del prossimo, ma sempre pronti a sparare a raffica e dove colpiva colpiva. Vita sociale? Non conosceva milioni di persone. Anzi no. Conosceva parecchia gente, ma alla fine gli intimi erano davvero pochi e se lei avesse avuto un’intimità soddisfacente, avrebbe forse notato la scopa occultata in quella nicchia di passaggio? Ma dai. Siamo seri. Eppure immaginava quella strega misteriosa, che a notte fonda si sarebbe reimpadronita della scopa occultata e avrebbe fatto i riti magici contro la città o a suo favore, dipendeva dai punti di vista. Oppure una vecchia befana avrebbe fatto un’incursione nei camini cittadini, per vedere come se la passava la gente lontano dalle feste, dalle calze speranzose di un regalo che non somigliasse al carbone. Ma chi lo aveva detto che le befane devono per forza essere vecchie e brutte? La parola befana la diceva lunga, ma poteva anche essere una giovane donna, bella, con il compito di visitare le famiglie e i bambini che credevano nei doni che arrivavano dai camini o da donne travestite da befane, che sorvolavano la città con una scopa come mezzo di trasporto. Ma i bambini credevano a queste cose, o erano ormai arciconvinti che fossero i genitori a infilare nella calza quanto potesse somigliare al dono di una befana? Già. I bambini adesso sapevano, mentre lei era una donna adulta, che trovava una scopa misteriosa in una nicchia di una strada del centro storico e immaginava che l’avesse abbandonata lì una strega travestita da operatrice ecologica, con l’intento di riappropriarsene a tarda notte, libera di intonare i riti magici delle streghe. Ma chissà se quella scopa si trovava ancora nel posto dove l’aveva trovata. Aveva proprio voglia di saperlo.