Quando si ha a che fare per lavoro con adolescenti, bisogna provare ad inventarsele un po’ tutte per convincerli a leggere. Un problema piuttosto importante infatti è riuscire a trovare dei romanzi che sappiano catturare la loro attenzione e che abbiano anche uno spessore compositivo.
L’altra sfida che si pone è provare a conciliare la curiosità con il programma scolastico, specialmente quello del primo anno delle superiori, che comprende l’analisi del testo narrativo che rischia di essere decisamente noioso, se non è affrontato con sistema giusto.
Gli elementi narratologici (tempo e durata del racconto, personaggi, fabula e intreccio, eccetera), che sono essenziali per comprendere al meglio ciò che stiamo leggendo, rischiano di risultare elementi “staccati” dal romanzo, necessari solo per fare i compiti per casa e superare la verifica.
Ma perché fermarsi alla lettura di un romanzo, quando abbiamo davanti un mondo cinematografico da esplorare? Se ascoltiamo i ragazzi, e dobbiamo ascoltarli sempre quando ci raccontano del loro mondo e del loro tempo, guardano pochissimi film. Il loro sistema è impostato su contenuti verticali, rapidi, di pochi secondi. Vedere un film è un’azione che richiede troppo tempo. La cinematografia però è un’arte a tutti gli effetti che richiede la capacità di “leggere il film”. Allo stesso modo in cui in un romanzo andiamo a cercare di capire chi sia il narratore e quale sia il tipo di focalizzazione, la stessa cosa è possibile farla guardando un film. Riuscire a mettere assieme questi due ambiti, utilizzando un film tratto da un romanzo, è la sfida che pongo ai miei studenti.
Agatha Christie per me, come insegnante, è sempre stata una risorsa importante da questo punto di vista. Il genere giallo è generalmente quello che, in base alla mia esperienza, colpisce sempre di più gli studenti che si immedesimano rapidamente nel detective e che diventano curiosi di scoprire chi sia l’assassino. “Assassinio sull’Orient-Express”, romanzo del 1934, è un giallo praticamente perfetto. Appartiene alla categoria dei “gialli della camera chiusa”, ovvero quei gialli che sono basati su un crimine compiuto in una stanza chiusa dall’interno, in cui non vi è traccia dell’assassino e dell’arma, e pertanto ritenuti impossibili da risolvere. Impossibili si, ma non per Hercule Poirot, l’investigatore protagonista del romanzo e del film. Nel bel mezzo di un viaggio in treno nella tratta Istanbul-Calais, il mitico Orient-Express viene sorpreso da una bufera di neve e costretto a stare fermo in un luogo solitario circondato dal niente.
Ed è in questa situazione che si consuma un efferato delitto: Samuel Edward Ratchett, imprenditore statunitense, viene trovato morto accoltellato nella sua cuccetta chiusa dall’interno. Poche ore prima di morire Ratchett aveva avuto un colloquio con Poirot – che si trova sul treno per puro caso – dicendogli di temere per la sua vita. Inizia così un’indagine complicata, fatta di fitti interrogatori, depistaggi ed ipotesi apparentemente impossibili che porteranno alla scoperta di una verità amara ed inquietante.
La caratteristica tipica dei romanzi gialli è quella di non nascondere mai al lettore alcun dettaglio dell’indagine svolta dall’investigatore, affinché egli stesso possa misurarsi con lo stesso compito e provare a portare a termine l’indagine man mano che essa si snoda. Agatha Christie è bravissima in questo e non cela mai nulla. Il ritmo è rapido, ma non incalzante, le descrizioni accurate, la prosa descrittiva ma brillante. Il tutto è raccontato con estrema meticolosità, i capitoli sono brevi e ricchi di dialoghi per permettere al lettore di vivere gli interrogatori di Poirot e del suo aiutante Bouc.
Sebbene tutto si svolga in un treno bloccato per una tempesta di neve, non si deve pensare ad atmosfere claustrofobiche, anzi. Il lusso del treno prevale quasi sempre sull’aria delittuosa, nonostante non manchino i colpi di scena.
A portare questo romanzo al cinema sono stati due registi, Sidney Lumet nel 1974 e Kenneth Branagh nel 2017. Vorrei concentrare la mia attenzione proprio su quest’ultimo, anche per il lavoro di adattamento cinematografico di altre opere della Christie che ha proseguito. Avevo molta attesa per questo film quando è uscito e devo dire che non ha deluso le mie aspettative, ma in un senso differente.
Questo dovremmo capirlo già dal prologo in Medioriente, totalmente inesistente nel romanzo dove viene semplicemente detto che Poirot è reduce da un caso precedente non definito. La lettura del romanzo, inoltre, ci introduce in un tipo di analisi molto “quieta”, Poirot lavora prevalentemente seduto, mentre nel film il nostro protagonista è quasi perennemente in movimento. Di per sé Poirot è un personaggio “particolare”, ma Branagh lo rende “teatrale”, così come il resto dei personaggi. La focalizzazione è spesso quella di Poirot, dal momento in cui noi vediamo le cose non “dall’alto”, ma nel momento in cui Poirot stesso le vede. E’ una scelta registica particolare, ma che funziona. Molti cambiamenti sono stati elaborati sui personaggi, ad esempio nel personaggio di Caroline Hubbard, interpretata da una bravissima Michelle Pfeiffer, che la Agatha Christie carica di un’incessante parlantina come puntello fastidiosamente comico della storia e che si rivela essere un elemento essenziale per la soluzione del caso in quanto carattere non “vero”, ma “recitato”; dato che qui si perde completamente. I tratti dei personaggi vengono semplificati, ad esempio con i conti Andrenyi, le figure più enigmatiche dell’intreccio, qui confinati in brevi inquadrature da cui, semplicemente, il detective non è in grado di dedurre ciò che ci espone. Devo dire che con questi personaggi ero molto curiosa, perché da appassionata di danza mi incuriosiva capire come avrebbe funzionato Sergej Polunin nei panni del Conte Andrenyi. La trasposizione risulta cinematograficamente pop: la scena della spiegazione finale, che nel romanzo avviene nella lussuosissima carrozza ristorante, qui è spostata sulla neve con una fotografia che richiama chiaramente “L’ultima cena” di Leonardo Da Vinci. L’inseguimento nel vagone del treno, totalmente inesistente nel romanzo, deve chiaramente dare allo spettatore quell’idea di “azione” che serve a movimentare il racconto. Tuttavia più che per l’aspetto scenografico ed estetico la riscrittura di Branagh funziona per il suo essere il dramma di un uomo che lotta contro le gabbie in cui si è rinchiuso. Nonostante un cast di stelle di altissimo livello, Branagh preferisce concentrarsi sul protagonista, riuscendo a far emergere l’uomo dietro la maschera, un uomo che da troppo tempo sfugge alla vita, nascondendosi dietro la sua mente indagatrice. Ciò che lo spettatore alla fine ricorda sono i silenzi di Poirot e i suoi sguardi estremamente malinconici.
Se però Sidney Lumet nel 1974 ci aveva regalato un capolavoro, perché scegliere di vedere coi ragazzi la versione di Branagh? Per fare un’indagine. Per scoprire cosa, romanzo alla mano, il regista ha voluto modificare per creare il “suo” Assassinio sull’Orient-Express. Personaggi, risvolti di trama, location, niente resta mai assolutamente identico in una trasposizione cinematografica, a parte forse lo sceneggiato dei Promessi Sposi di Sandro Bolchi (davvero molto didascalico!). Bisogna quindi andare a caccia di differenze, provare a capirne le motivazioni, da quelle utili e necessarie perché si tratta di mezzi espressivi differenti, ma anche di secoli differenti, a quelle spiegabili per motivi fastidiosi (perché far diventare un personaggio italiano, un personaggio messicano? Forse per la politica anti immigrazione degli Stati Uniti nel 2017?), a quelle infine non spiegabili. Niente è come sembra e questo binomio romanzo-film ne è la prova perfetta.
Assassinio sull’Orient-Express è un ottimo modo di passare la serata, sia leggendo un capolavoro di letteratura, sia aprendo una piattaforma per lo streaming (legale, mi raccomando!) e godendosi qualche ora di cinema di buon livello. Si può proseguire poi con Assassinio sul Nilo e Assassinio a Venezia ma, se l’episodio egiziano conserva delle buone qualità rispetto al primo, l’ultimo adattamento mi ha lasciata un poco più perplessa e l’ho trovato il meno efficace dei tre. I tre romanzi meritano invece tutti ugualmente e li consiglio davvero.
Buona lettura, buona visione e… buona indagine!