L’INGREDIENTE MANCANTE

Racconto in concorso

L’INGREDIENTE MANCANTE

Di Gloria Brugnettini

A Störmsend non nevicava da dieci anni, quindici mesi, sette settimane, tredici giorni e cinquantasette ore. Era un evento troppo fuori dal comune per una cittadina talmente grigia e ordinaria, dove persino i cani randagi sfoggiavano un manto rasato e ben pulito. Così, da un giorno all’altro, dopo una bufera senza precedenti, aveva semplicemente smesso, senza mai più ricominciare. Fino a due giorni prima. Gli edifici si erano svegliati coperti e infreddoliti e il cielo pallido piangeva fiocchi senza sosta. Le condizioni meteorologiche avevano sconvolto tutti a tal punto che il consiglio comunale aveva indetto una riunione straordinaria per far fronte all’emergenza. Mentre arrancava in mezzo alla neve, Annika ridacchiava tra sé e sé, immaginando i volti confusi delle autorità locali, quando una strana sensazione la riscosse dai suoi pensieri. L’aria fredda le fendeva le guance arrossate e il naso stava iniziando a colarle. Quella mattina non avrebbe proprio voluto uscire di casa e non capiva le espressioni di chi incontrava per strada, i visi aperti in un sorriso di ebete meraviglia. Certo, forse non era la persona più adatta a giudicare i comportamenti altrui, infagottata com’era nel vecchio cappotto da caccia di suo nonno e con il cappello di lana un po’ troppo calato sulla fronte. Se avesse potuto vedersi dall’esterno, come un’estranea casualmente incrociata per strada, probabilmente avrebbe trovato molto comica quella buffa ragazza che barcollava nella neve con in mano un gigantesco fiore di papavero. Non era stato facile reperirlo. Aveva girato tutti e tre i fiorai di Störmsend, ma ogni volta il negozio risuonava sempre con le stesse gelide parole: quest’anno non ci sono papaveri, signorina. Dopo l’ultima porta amaramente sbattutasi alle sue spalle, Annika aveva imboccato la via del ritorno. E se fino a quel momento aveva creduto che tutti quei fiorai per un paesino di appena settecento abitanti fossero solo uno spreco di spazio, ora le sembravano invece stramaledettamente pochi. Fu solo quando i suoi nuovi scarponi color senape la tradirono, facendole baciare l’asfalto sconnesso del marciapiede, che finalmente lo vide, triste e solitario sul ciglio della strada. Facendo forza sui palmi, si mise goffamente a sedere e, pulitasi le mani sul tessuto logoro dei jeans, colse delicatamente quel piccolo miracolo urbano. Camminò fino a casa, questa volta facendo particolare attenzione a dove metteva i piedi: dopotutto aveva un carico prezioso con sé. “Niente papaveri, insomma” continuava a pensare la ragazza, sghignazzando sotto i baffi. Aveva appena imboccato il vialetto, quando il primo inaspettato fiocco di neve cadde dal cielo direttamente sulla punta del suo naso. Destabilizzata, si affrettò ad entrare, nonostante i ripetuti tentativi di ribellione del suo pesante mazzo di chiavi. Dopo alcune frenetiche ricerche su internet dello spessore di “perché piovono pallini bianchi”, aveva deciso che forse, qualunque cosa stesse accadendo là fuori, non era troppo un problema suo. Si dedicò piuttosto ad accudire il suo nuovo ospite, vegliandolo per due interi giorni. Così, quando quella mattina era uscita di casa per recarsi a lavoro, il fiore aveva un aspetto radioso. Perfino Annika era stupita dal suo zelo, lei che ormai possedeva solo calzini spaiati. Aveva appena svoltato il quattordicesimo angolo del percorso che collegava casa sua all’emporio del nonno, quando finalmente vide la pesante insegna di cedro gravata, per la prima volta, da una nuova soffice compagna. Non aveva ancora calpestato lo zerbino d’ingresso, ma la porta si aprì di scatto. La ragazza alzò lo sguardo confusa e un sorriso impaziente le diede il benvenuto. Il nonno doveva averla vista arrivare attraverso gli aloni della vetrata e si era precipitato ad accoglierla. “Allora ce l’hai? La signora Greenpatch ha chiamato già quattro volte questa mattina”. Annika avrebbe davvero voluto tenere un po’ il nonno sulle spine, ma l’urgenza nella sua voce la convinse a desistere. “Non è stato facile, ma ho portato a termine la missione” disse con solo una punta di malcelato orgoglio. Il viso del nonno si illuminò e, arraffato il tesoro, trotterellò entusiasta fino al bancone. “Entra pure, cara. Perdona i miei modi un po’ bruschi, ma sai…”,“…i malanni non vanno in vacanza. Lo so, nonno, non preoccuparti”. In gioventù il nonno di Annika era stato un abile farmacista, ma fu solo dopo aver incontrato Dorothea, la nonna, che conobbe la sua vera vocazione: le piante medicinali. Da quell’amore erano nati due figli, altrettanti nipoti e la fortuna della famiglia Meadow: l’erboristeria. O almeno questo era quanto si diceva in giro. Annika aveva da sempre subito il fascino dell’attività di famiglia. Per questo, quando un anno prima la nonna era venuta a mancare, si era offerta volentieri di aiutare il nonno come apprendista. Finora si era occupata solo di poche e semplici mansioni, quali accogliere i clienti, tenere ben pulito il negozio e, la sua preferita, reperire le materie prime per le tisane del nonno, famose in tutta Störmsend. Lo aveva osservato lavorare per ore, meravigliandosi della maestria che guidava le sue mani callose nella preparazione di infusi e decotti. Conosceva i gesti e le procedure a memoria ed era sicura che ormai sarebbe riuscita a replicarli correttamente. Ma il nonno sembrava ancora riluttante a lasciarla provare, nonostante l’impazienza palpabile della nipote. “Finalmente un buon sonno ristoratore attende la signora Greenpatch” esordì cauta Annika, con tono circospetto. “Hai proprio ragione. L’insonnia non dava tregua a quella poveretta, ma da questa sera cambierà tutto. Ancora un po’ di pazienza e…”. Il nonno era troppo concentrato per finire la frase e questo attimo di silenzio suonò ad Annika come un invito. “Stavo pensando…credo di aver fatto un buon lavoro con la questione del papavero e mi stavo chiedendo se magari potessi finire io la tisana che stai preparando”. Aveva parlato così velocemente, per paura di essere interrotta, da avvertire quasi il fiato spezzato dalla foga. Il nonno alzò lo sguardo dal piano di lavoro e i suoi occhi parevano enormi dietro le spesse lenti da vista. Era colpito dalla tenacia della nipote e ora, osservandola meglio, aveva notato che qualcosa in lei sembrava cambiato. Finalmente nello sguardo di Annika aveva ritrovato la scintilla che tempo addietro era appartenuta alla sua amata Dorothea. Lei aveva sempre saputo che quel giorno sarebbe arrivato e, anche se non era nei piani che la nipote dovesse affrontarlo senza la sua guida, dopo l’infausta diagnosi, insieme al marito, aveva avuto modo di trovare una soluzione. Perciò, anche se rimasto solo, il nonno sapeva esattamente come comportarsi. “Ho una cosa per te” le disse con fare austero. Si voltò verso la libreria alle sue spalle e, raggiunto a fatica lo scaffale più alto, ne estrasse un pesante tomo impolverato. Annika aveva lucidato quei volumi un migliaio di volte e si sorprese di non aver mai visto prima d’ora il libro che il nonno le stava porgendo. La copertina di pelle scura era stranamente calda al tatto e subito le sue mani incontrarono il simbolo a rilievo di una stella a otto punte. Incuriosita tentò di aprirlo, ma, nonostante non ci fossero sigilli, non ci riuscì. “Non si apre” tentennò la ragazza. “Impossibile!” ribatté categorico il nonno. “Guarda tu stesso, non accade nulla” continuò Annika, accompagnando le sue parole con un gesto teatrale. “Se è un modo stravagante per cercare di distrarmi…”. “Perché non vai a rifletterci nel retrobottega, cara?” la interruppe gentilmente il nonno “Qui finisco io” aggiunse con un sorriso incoraggiante. Confusa, Annika imbracciò il tomo, con l’idea di essere stata imbrogliata che continuava a ronzarle in testa, e svogliatamente si diresse nell’altra stanza. Accostò le tende per avere un po’ di privacy e, spostata tutta la paccottiglia arenata sull’unico tavolo presente, chiamò a raccolta tutta la sua concentrazione per cercare di risolvere quel rompicapo. Era quasi convinta di aver già visto altrove quella stella in copertina, ma dove? Stava ormai per arrendersi, quando la risposta le balenò in mente. La nonna aveva un medaglione da cui non si separava mai, una pietra di ossidiana grezza con inciso quel simbolo. Non sapeva bene perché, ma ebbe la strana sensazione che dovesse trovarsi proprio in quella stanza. Iniziò ad aprire tutti i cassetti, a rovistare dentro ogni portamatite, guidata da un istinto viscerale. Finalmente, nella tasca di un vecchio grembiule, le sue dita incontrarono una catenina metallica. Ne estrasse l’amuleto e, nonostante la stanza fosse in penombra, illuminata solo da una flebile candela, le parve che la pietra stesse brillando. Più si avvicinava al bancone dove aveva lasciato il libro e più la luce si faceva intensa. Ipnotizzata da quanto stava accadendo, appoggiò distrattamente l’altra mano sulla copertina del volume, solo per scoprire che questa era diventata incandescente. Spaventata, si ritrasse subito, ma il brusco movimento le fece perdere la presa sulla collana, che atterrò proprio al centro della stella incisa. Quello che era iniziato come un timido bagliore stava ora bruciando con l’intensità di mille soli, fino ad inghiottire l’intera stanza. Quando il nonno, richiamato da quell’improvviso fulgore, si precipitò nel retrobottega, trovò il tomo aperto sul tavolo e nessuna traccia della nipote. Si sistemò gli occhiali sul naso e, con un sorriso amaro in volto, disse fra sé e sé “Ora tocca a te, mia cara Dorothea. Fa’ quel che devi, ma, ti prego, riportamela presto”. Infilò distrattamente il cappotto ed uscì dall’emporio, chiudendo bene a chiave la porta. Dal momento che era rimasto solo, decise di approfittare della pausa pranzo per consegnare il suo preparato per tisane alla signora Greenpatch. E, per tutto il tragitto, non riuscì a smettere di rimproverarsi per non essersi ricordato subito che un evento meteorologico straordinario marcava sempre la nascita di una strega.

Una risposta.

  1. Vincenzo ha detto:

    voto questo racconto

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